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30/05/2016

Referendum: se Renzi perde deve andarsene? Si, con buona pace di Di Maio

Che deve fare Renzi se perde il referendum? Deve andarsene, punto e basta. In primo luogo perché ha impegnato la sua parola in questo senso e non possiamo permettere che possa restare Presidente del Consiglio un Pulcinella del genere, poi per ragioni di ordine costituzionale che ho già spiegato. Per questo non ho per nulla apprezzato la recente uscita di Luigi Di Maio (“non chiederemo le sue dimissioni”). Uscita inopportuna ed anche assai incauta. 

Infatti,  non ci vuole molto a capire che, in caso di vittoria del No, partirà una richiesta di dimissioni di Renzi a furor di popolo e tanto per cominciare, dal popolo 5 stelle e lui potrebbe trovarsi costretto a rimangiarsi le parole di oggi.

Non sempre la scelta più moderata è anche la più prudente ed assennata. So che la  maggioranza degli italiani è molto scettica sulla possibilità che Renzi si dimetta se vincono i No al Referendum. Io sono di parere opposto e non perché consideri Renzi uomo di parola (figuriamoci!) o sensibile a considerazioni di ordine costituzionale (rifiguriamoci!) ma per una banale questione di rapporti di forza: una sconfitta del genere gli spezzerebbe le gambe, lui potrebbe anche voler restare, ma i rapporti di forza non glielo consentirebbero.

In primo luogo, il partito entrerebbe in ebollizione e lui non avrebbe assolutamente la presa di prima. Non mi riferisco ad una azione della “sinistra” unita (Bersani + Cuperlo + Speranza) che pensa solo a prendere un 30% di voti congressuali per trattare sulla rielezione del maggior numero possibile dei suoi parlamentari. Penso proprio allo sfascio del correntone renziano. Al di là della ristretta corte fiorentina, il seguito di Renzi ha aggiunto molte altre componenti del partito: gli ex veltroniani, gli ex miglioristi, la maggioranza dei margheritini, ex dalemiani, ma, soprattutto il corpaccione “doroteo” del partito: gli amministratori locali, gli affaristi a vario titolo, i parlamentari in cerca di rielezione eccetera. Tutta questa marmellata (per usare una epressione gentile) era ed è al seguito del giullare nella convinzione che egli abbia un “tocco magico”, che rende vincente ogni battaglia di cui si ponga alla testa. Ma se (magari dopo un risultato negativo alle amministrative) si aggiungesse una dèbacle referendaria che mette a rischio la vittoria alle politiche, il magnetismo renziano finisce di colpo e tutti iniziano a cercarsi altre nicchie in cui inserirsi. Il tutto, poi, sotto congresso ed in vista delle politiche. Conseguenza: la frantumazione disciplinare dei gruppi parlamentari che renderebbe debolissimo il governo.

Il secondo effetto sarebbe sugli alleati, e su Alfano e Casini piuttosto che Verdini che sarebbe probabilmente il più fedele. Alfano e Casini già stanno scomodi nella coalizione per via della questione delle unioni civili e della prescrizione, la sconfitta del referendum (magari proprio per il voto determinante dei family day) li metterebbe in una posizione insostenibile, soprattutto in caso di successo della destra a Milano. Ed il ritiro di questi dalla coalizione sarebbe la fine del governo.

Anche i sindacati sarebbero invogliati a tornare a premere sul governo con una ondata di conflitti, proprio nella speranza di trovare un avversario indebolito e salvare la faccia fin qui assai compromessa dai troppi cedimenti.

Ovviamente, un governo così debole non servirebbe neppure alla Ue ed alla Bce, dove Renzi, già ora, non conta troppi amici e, per di più in un momento in cui i rischi di crisi economica si farebbero più pesanti.

Peraltro, tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, hanno avuto motivi di avversione per il fiorentino (dagli americani alla Confindustria, ai magistrati ecc.) troverebbero la via libera per la spallata finale.

In politica c’è una regola fondamentale: assai importante è non perdere. Magari, potrebbero esserci rilievi morali, ma la politica italiana non mi pare l’ambiente più adatto a questi scrupoli. Ecco perché sono convinto che non supererebbe la sconfitta.

Che scenari per il dopo?

Il primo: Renzi cade, lasciando il posto ad un governo tecnico (quarto non eletto dagli italiani ed in una situazione di forte delegittimazione del Parlamento) per il quale occorrerebbe trovare una maggioranza (cosa per niente scontata) e che comunque sarebbe solida come un budino. In primo luogo perché Renzi dovrebbe dimettersi anche da segretario del partito e, come abbiamo detto il Pd entrerebbe in ebollizione rivoltandosi. Anche le forze di centro (i deputati ex scelta civica approdati al Nazareno, gli ex casiniani, alfaniani) partirebbero alla ricerca dei salvagente, prima che la nave affondi del tutto. Quanto durerebbe questa melassa? Ed, anche in ogni caso, che effetto farebbe una sentenza sfavorevole della Corte sull’Italicum?

Lo scenario più probabile è il secondo: votare nel 2017, ma non si sa bene con che legge elettorale, con il Pd in pieno marasma e con una destra ancora in via di ristrutturazione. Per la destra potrebbero esserci chances di salvezza, ma per il Pd, appena sconfitto, privo di una leadership, travolto dagli scandali sarebbe la disfatta.

Determinante, in questo senso, sarebbe la pronuncia della Corte Costituzionale, ma immaginiamo che un esito del genere renderebbe assai meno popolare il sistema maggioritario fra i parlamentari di Pd, centro e destra. Vuoi vedere che si guadagnano un po’ di mesi per rifare la legge elettorale?

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