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23/05/2016

Iraq - Iniziata l'offensiva per la riconquista di Falluja

Nonostante la grave crisi politica interna, il premier iracheno Haidar al-‘Abadi ha annunciato ieri sera il via alle operazioni militari per la riconquista della città di Fallujah da due anni sotto il controllo dell’autoproclamato Stato Islamico (Is). Fallujah, città per lo più sunnita a 65 chilometri a ovest della capitale Baghdad, è da diversi mesi circondata dalle forze irachene. Tuttavia, disaccordi tra il governo iracheno e la coalizione internazionale anti-Is su quali gruppi avrebbero dovuto partecipare all’offensiva e su quando incominciarla hanno ritardato fino ad ora l’inizio della campagna militare.

Secondo quanto hanno riferito fonti dell’esercito al portale Middle East Eye, le truppe regolari irachene e le milizie sunnite anti-Is invaderanno la città mentre altre unità – soprattutto quelle sciite – saranno impiegate a protezione dell’area che circonda Fallujah. “Le nostre forze sono pronte ad attaccare. E’ da qui che partono molte azioni terroristiche [dell’Is]. La città deve essere liberata cosicché anche la stessa Baghdad e le zone circostanti saranno più al sicuro” ha dichiarato il portavoce dell’anti-terroristismo iracheno, Sabah Nuaman.  La strategia è chiara: riprendere Falluja per poi attaccare Mosul, la “capitale” irachena dello Stato Islamico. “Non possiamo farlo fintanto che Daesh [altro termine per Is, ndr] controlla un’area vicino a Baghdad – ha spiegato Nuaman che poi ha aggiunto – abbiamo ripreso il controllo della provincia dell’Anbar, ci manca solo Fallujah”.

Colpisce, però, il silenzio statunitense sul via alle operazioni: al momento, infatti, il dipartimento di stato Usa e il Pentagono hanno preferito non rilasciare alcun commento. Eppure la scorsa settimana la coalizione internazionale ha più volte colpito l’area intorno alla città. Secondo il portavoce della coalizione internazionale, il colonnello Steve Warren, “Fallujah è un rifugio per lo Stato Islamico dove i suoi militanti possono costruire bombe e pianificare azioni in zone relativamente vicine alla capitale”.

Non solo. Secondo analisti ed esperti militari, la città è un vero e proprio fortino del “califfato” nella parte occidentale dell’Iraq: qui, infatti, i radicalisti islamici arruolerebbero nuovi combattenti e raccoglierebbero denaro. Su Middle East Eye l’analista iracheno Wahab al-Taier è stato chiaro: “Fallujah è la testa del serpente. Quando la testa sarà tolta, il serpente morirà”. “Sconfiggere Da’esh qui vuol dire sconfiggerlo nell’intero Iraq. E’ solo una questione di tempo”.

Più semplice a dirsi che a realizzare: la battaglia è estremamente complessa perché l’Is è ancora una forza minacciosa. Ma a rendere ottimista il premier al-‘Abadi sono i recenti successi militari compiuti dal suo governo nella lotta al “califfato”. La scorsa settimana le forze governative hanno ripreso il controllo di Rutba, una cittadina a 380 chilometri dalla capitale irachena. Lo scorso mese, invece, ad essere “bonificata” dalla presenza dei jihadisti era stata la valle dell’Eufrate. Senza dimenticare che a inizio anno la capitale della provincia dell’Anbar, Ramadi, era stata “completamente liberata” dall’esercito.

Il via all’offensiva giunge nel pieno di una grave crisi politica interna. Venerdì due manifestanti sono stati uccisi nei violenti scontri con le forze di sicurezza irachena nella Zona verde di Baghdad (l’area più sicura della città dove hanno sede le ambasciate straniere e le istituzioni governative). Ieri l’ufficio del premier al-‘Abadi ha rilasciato i risultati di una inchiesta preliminare da cui è emerso che la polizia e le guardie militari “non hanno sparato direttamente a chi protestava”.

Nonostante la reazione durissima delle forze di sicurezza, i manifestanti, per lo più sostenitori del religioso sciita Moqtada as-Sadr, sono riusciti ad entrare nella Zona verde prendendo di mira l’ufficio del primo ministro, accusato di debolezza e incapacità di portare avanti le riforme anti-corruzione promesse da mesi. Da tempo migliaia di iracheni guidati da as-Sadr chiedono, invano finora, un nuovo governo tecnico. Il parlamento, però, continua a fare orecchie da mercante non votandolo: alla base vi è il timore dei partiti politici di perdere il controllo dei ministeri e di vedere indebolita la rete di consenso basata su favori e clientelismo.

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