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25/05/2016

Da Nuit Debout a ‘blocchiamo tutto’. La protesta dilaga in Belgio

A due mesi e mezzo dal suo inizio, in Francia il movimento popolare contro le politiche autoritarie e liberiste del governo socialista non solo non accenna a rientrare nei ranghi, ma anzi nel paese lo scontro sociale si inasprisce toccando livelli mai visti negli ultimi anni.

Agli scioperi e alle manifestazioni negli ultimi giorni sono subentrati i blocchi delle raffinerie e di alcuni importanti centri della logistica, da parte dei lavoratori organizzati con alcuni dei sindacati meno compromessi con un governo sceso al minimo della popolarità. E contro le nuove forme di lotta, assai efficaci, il governo ha deciso di intervenire a testa bassa per dare un segnale di forza a tre settimane dall’inizio degli Europei di calcio.

Da giorni sei delle otto raffinerie del Paese sono completamente o parzialmente chiuse a causa della mobilitazione, il che ha lasciato a secco il 20% delle 12.000 stazioni di servizio esistenti nel paese, tanto che le autorità sono state costrette a chiedere agli automobilisti di non riempire i serbatoi se non strettamente necessario.

Ieri mattina all’alba il Ministero degli Interni ha dato ordine ai reparti speciali della polizia di intervenire e di ‘sbloccare’ la situazione, assaltando e rimuovendo alcuni dei blocchi e dei picchetti organizzati dai lavoratori delle raffinerie e dai camionisti, tra i più colpiti dalla contestata Loi Travail. Al momento dello sgombero della raffineria di Fos-sur-Mer, nel sudest della Francia, la polizia ha incontrato però una tenace resistenza e molti agenti sono rimasti feriti o contusi dagli oggetti e dai pneumatici scagliati contro di loro dai manifestanti. I reparti antisommossa, nonostante la violenza impiegata contro gli scioperanti, hanno impiegato ben due ore per penetrare all’interno della raffineria della Esso e nel deposito di carburante.

Comunque la maggior parte degli stabilimenti e dei depositi, in particolare quelli gestiti dalla Total, rimangono bloccati, occupati dai militanti del sindacato CGT – che definire “l’equivalente francese della Cgil” è davvero sconveniente – e di Sud. I sindacati hanno infatti dichiarato che, se il governo non ritirerà la legge che precarizza il lavoro e facilita i licenziamenti, continueranno a bloccare i depositi di carburante e le raffinerie.

Di fronte alla fermezza del sindacato e all’efficacia delle forme di lotta e di protesta i socialisti al potere sono in evidente difficoltà, e provano a sobillare la “maggioranza silenziosa” contro gli scioperanti anche se secondo tutti i sondaggi quasi il 70% dei francesi è critico nei confronti della Loi Travail. Il presidente Francois Hollande ha denunciato il “blocco” del carburante come “una strategia di una minoranza” mentre Valls dal canto suo ha affermato che “l’economia è bloccata” e che la Cgt sta prendendo “in ostaggio i consumatori, la nostra economia, la nostra industria”. Per tentare di disinnescare la protesta, l’esecutivo promette una deroga della Loi Travail per quanto riguarda i camionisti, ai quali il testo taglierebbe nettamente il pagamento degli straordinari dal 25% attuale fino al 10%.

Il segretario del principale sindacato francese, di tradizione comunista, Philippe Martinez, ha attaccato il primo ministro accusandolo di fare un gioco pericoloso e di voler mettere i cittadini contro i lavoratori che protestano legittimamente contro una legge che va a colpire i diritti e gli interessi di milioni di persone.

Invece di retrocedere, il sindacato ha rilanciato la mobilitazione. Giovedì è stata da tempo proclamata, insieme ad altre sigle, l’ottava giornata di mobilitazione generale per il ritiro della legge dall’inizio della mobilitazione, il 31 marzo scorso. E intanto la Cgt ha proclamato una settimana di sciopero dei camionisti e dal 2 giugno scatterà anche lo sciopero del trasporto pubblico, compresa la metropolitana di Parigi, due iniziative che potrebbero paralizzare totalmente il paese. Inoltre per il 14 giugno, quando la Loi Travail approderà al Senato, dopo esser transitata all’Assemblea Nazionale senza voto parlamentare – il governo ha imposto l’articolo 49.3 della Costituzione che bypassa l’opinione dei deputati – sono stati indetti già nuovi scioperi e manifestazioni.

Come se non bastasse, la Cgt-Energia e alcune sezioni di Force Ouvriere hanno minacciato anche il blocco delle centrali nucleari francesi all’interno della giornata di lotta indetta per domani. Già martedì scorso alcuni black-out elettrici hanno manifestato la rabbia dei lavoratori contro la legge El Khomri, ribattezzata dai media “il Jobs act alla francese”: a Plan-de-Campagne, vicino a Marsiglia, il più grande centro commerciale d’Europa è rimasto al buio, e lo stesso è successo in un altro a Nantes. Nella città bretone, il quarto scalo marittimo per dimensioni e traffico del paese, i Dockers hanno incrociato le braccia per tutto il fine settimana impedendo il carico e lo scarico delle merci e in molti casi anche l’attracco delle navi.

Intanto gli studenti e gli attivisti che animano il cosiddetto movimento “Nuit Debout” danno manforte ai lavoratori – anche se con le direzioni sindacali i rapporti rimangono tesi – bloccando le vie d’accesso ad alcun importanti centri della logistica. Se la partecipazione alle manifestazioni è diminuita rispetto alle scorse settimane, altrettanto non si può dire del boicottaggio alle lezioni e agli esami nelle università non solo da parte degli studenti ma anche di molti ricercatori e docenti.

Questo mentre nel paese si moltiplicano gli assalti contro le sedi del Partito Socialista, uno dei quali, a Grenoble, a colpi di arma da fuoco.

 
A costituire un ulteriore elemento di preoccupazione non solo per il governo francese ma per tutto l’establishment dell’Unione Europea – il Jobs Act italiano e la Loi Travail, così come l’accordo in Spagna tra Psoe e Ciudadanos, sono il frutto di una strategia continentale comune dei poteri forti – c’è ora il possibile allargamento della protesta al Belgio.

Proprio ieri, all’insegna dello slogan “Adesso basta”, le maggiori sigle sindacali del paese sono scese in piazza a Bruxelles contro le misure del governo di Charles Michel che aumentano la flessibilità del lavoro e la precarietà dei contratti. In particolare, ad essere contestata, è la cosiddetta Legge Peeters (dal nome del Ministro del Lavoro Kris Peeters) che, presentata il mese scorso, prevede tra le altre cose l’aumento dell’orario di lavoro settimanale fino a 45 ore, allo scopo di rendere il paese più competitivo e produttivo. In realtà alcuni articoli prevedono addirittura che in alcune circostanze e sulla base delle necessità della produzione si possa arrivare addirittura a 50 ore settimanali, ovvero 11 al giorno; così come per il Jobs Act e la Loi El Khomri, il dispositivo contiene una detassazione per le imprese ma in questo caso prevede anche un aumento delle imposte indirette per i cittadini, con la lievitazione dell’Iva sull’elettricità, sul tabacco, sull’alcool e sulla benzina.

I sindacati del paese – la socialista Fgtb, la cristiana Csc e la liberale Gslb – hanno chiamato i lavoratori alla mobilitazione immediata.

Ben 60 mila le persone scese in strada ieri nonostante il clima pesante determinato dagli attentati dei mesi scorsi e da una militarizzazione del territorio che non ha nulla da invidiare a quella messa in atto dal governo francese. Il corteo ha sfilato senza problemi fino alla Gare du Midi, quando scontri sono scoppiati tra gruppi di dimostranti e i reparti antisommossa, che hanno impiegato gli idranti, i lacrimogeni e le granate stordenti per disperdere giovani e lavoratori. Numerosi i feriti e i contusi, su entrambi i fronti, e alla fine 23 persone sono state fermate dalla polizia.

Per il 31 maggio i sindacati e le organizzazioni giovanili raccolte in una coalizione hanno annunciato altre azioni di protesta, in particolare nei servizi pubblici, mentre per il 24 giugno è stato già indetto uno sciopero generale.

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