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27/04/2016

Dimona, timori per il reattore della centrale atomica israeliana

Michele Giorgio - il Manifesto

L’Istituto 2 della centrale nucleare di Dimona «visto da fuori, è una costruzione di cemento, grezza e priva di finestre, di due piani… le mura sono spesse abbastanza da resistere a un bombardamento e sul tetto c’è una torre per l’ascensore che non parrebbe necessaria per un edificio tanto piccolo. Per trent’anni questo innocuo pezzo di cemento ha celato i segreti di Israele... Le mura del piano terra nascondono ascensori di servizio che portano uomini e materiali a 6 livelli sotterranei, dove i componenti per le armi atomiche sono prodotti e assemblati in parti per le testate missilistiche». Sono alcuni passaggi di un lungo servizio pubblicato il 5 ottobre 1986 dal Sunday Times fondato sulle rivelazioni fatte nelle settimane precedenti da Mordechai Vanunu, un ex tecnico della centrale di Dimona che aveva raccontato al giornale britannico le produzioni nucleari militari di Israele che non ha mai ratificato il Trattato di non proliferazione e che non è soggetto ai controlli dell’Aiea.

Quando apparve l’articolo Vanunu era già in prigione in Israele, dopo essere stato rapito a Roma dal Mossad e riportato in patria per essere processato per tradimento e condannato a 18 anni di carcere. Una vicenda di eccezionale importanza che però fece poco scalpore, come spesso accade quando sul tavolo ci sono i segreti militari di Israele. Un po’ tutti perciò chiusero un occhio. L’Italia tutti e due, nonostante Vanunu fosse stato sequestrato a Roma. La magistratura aprì le indagini ma il governo dell’epoca non fece nulla per aiutarla. Troppo stretti erano (e sono) i rapporti tra i servizi segreti di Italia e Israele. Calò il silenzio su attività nucleari fuori da ogni controllo internazionale di cui per la prima volta si apprendevano particolari inquietanti. Eppure il mondo in quei mesi faceva i conti con le conseguenze della più grave catastrofe nucleare della storia, avvenuta il 26 aprile di quello stesso anno a Chernobyl. Tanti hanno dimenticato Mordechai Vanunu. Uscito 12 anni fa dal carcere, l’ex tecnico nucleare reclama il diritto di lasciare Israele che gli negano le autorità «per motivi di sicurezza». Nessun giornalista straniero può intervistarlo: verrebbe subito espulso dal Paese.

Trent’anni dopo Chernobyl – con il mondo che ricorda l’immensità di quella tragedia – e la denuncia di Vanunu al Sunday Times, nuove rivelazioni offrono un quadro aggiornato e preoccupante della centrale di Dimona. Uno studio presentato questo mese a un convegno scientifico a Tel Aviv, e riferito ieri dalla stampa israeliana, ha fatto emergere una realtà allarmante. Un esame ecografico del nucleo di alluminio del reattore di Dimona evidenzia ben 1.537 imperfezioni. I timori per le condizioni del reattore «erano palpabili» durante i lavori del convegno, hanno aggiunto i media. Ottenuto dalla Francia negli anni ’50 ed entrato in funzione per la prima volta alla fine del 1963, il reattore di Dimona doveva restare operativo non più di 40 anni perchè il nucleo, che ospita le barre di combustibile dove avviene la fissione nucleare, assorbe una grande quantità di calore e radiazioni e si danneggia nel corso degli anni. E i reattori di quella generazione hanno il nucleo insostituibile. Un problema serissimo, già messo in luce quasi 10 anni fa dal prof. Eli Abramov, della commissione indipendente di monitoraggio del reattore di Dimona, in un colloquio con alti rappresentanti Usa (rivelato da un telegramma dell’ambasciata americana a Tel Aviv).

Il quotidiano Haaretz scriveva ieri che i sistemi di monitoraggio del reattore e del nucleo consentono di tenere sotto controllo le “imperfezioni” in ogni momento e di scongiurare pericoli. E in questi anni sarebbe stata accresciuta anche la protezione della centrale da possibili attacchi missilistici e da terremoti. Tuttavia lo studio reso pubblico alla conferenza di Tel Aviv indica che ai vertici della politica e della sicurezza di Israele non sono pochi i timori rispetto al funzionamento del reattore di Dimona che, peraltro, non produce elettricità ma, come si evince dalle rivelazioni fatte 30 anni fa da Mordechai Vanunu, solo il plutonio per le testate nucleari (esperti internazionali sostengono che Israele ne possiede tra 100 e 200). In questi anni ci sono state denunce palestinesi per bambini nati con malformazioni gravi causate, dicono, dalla presenza di scorie nucleari seppellite a poche decine di km dalla Cisgiordania. E quelle di una parte del personale della centrale che hanno denunciato di essere stati esposti a loro insaputa a radiazioni durante un esperimento segreto.

Dimona fu costruita dalla Francia tra il 1957 e il 1964. Israele dichiarò che si trattava di un impianto tessile. Gli americani costrinsero Tel Aviv a dire la verità e ad accettare ispezioni ma poi finirono per accogliere la tesi israeliana di un impianto con scopi solo civili. Invece Israele è riuscito a produrre da solo il plutonio per le bombe nell’Istituto 2, il bunker di 6 piani sotterranei. Vanunu ha raccontato tutto ciò, in ogni particolare, ha scattato anche delle foto. Eppure su questa produzione segreta tace la “comunità internazionale”. E non sono destinate a suscitare particolare interesse le notizie inquietanti sullo stato del reattore della centrale israeliana pubblicate dalla stessa stampa locale nell’anniversario della catastrofe di Chernobyl.

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