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31/03/2016

La dignità di un paese

Ancora un articolo di Alberto Negri? Sì, perché la perseveranza nell’informare correttamente, in un panorama devastato come quello attuale (vedi 1 e 2), va non solo segnalata (l’editorialista de IlSole24Ore non ha bisogno dei nostri complimenti) ma recepita fino in fondo.

In questo articolo tutta la vicenda di Giulio Regeni viene letta e inquadrata nel modo più spietato. Cioè corrispondente al vero.

La serie della balle egiziane – un continuo mettere pezze su versioni incredibili, buttate lì nella convinzione che nessuno avrebbe smosso le acque più di tanto – acquisisce senso. E noi, che abbiamo visto esattamente le stesse dinamiche per la strage di Piazza Fontana e per tutte le altre stragi venute in seguito, capiamo perfettamente come poliziotti, agenti dei servizi, magistrati accomodanti, possano lasciare in giro troppe tracce della propria azione. In fondo non sono dei “delinquenti di professione”, non sono allenati a dover evitare la galera. Anzi. Sono convinti che la loro parola, un rapporto scritto in modo sciatto e frettoloso, sia più che sufficiente a coprire tutto. Presi in castagna, ne devono inventare un’altra, ancora più squilibrata. Fino a quel borsello con i documenti di Giulio, un po’ di droga per infamare il morto e sminuirne l’importanza, buttato lì tra le cose sequestrate a cinque cadaveri che non potranno mai testimoniare.

Cose che fanno tutti gli sbirri del mondo, certo. Ma che proprio per questo, nelle discussioni tra sbirri di stati diversi, sono una prova di colpevolezza degli sbirri. Niente altro.

E spietata è pure la fotografia del governo italiano, tutto comunicazione e petto in fuori (“chiacchiere e distintivo”, a voler essere cinefili e precisi), spernacchiato da chiunque, fuori da questi confini.

Una domanda, che Negri ovviamente non può porre: ma se questa è la considerazione di cui gode un governo italiano recente (diciamo dalla fine della Prima Repubblica a oggi) presso governi di paesi di seconda fila, come l’Egitto, quale sarà mai l’atteggiamento con cui viene accolto nelle riunioni di Bruxelles o della Nato? Non ci fate ridere, please...

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La dignità di un Paese

Alberto Negri

Come si concluderà questa storia ignobile di Giulio Regeni? Dipende da noi. Possiamo richiamare l’ambasciatore, progettare sanzioni e magari provare anche a recuperare la dignità del Paese.

Doveva essere già finita. Al Sisi è molto irritato, non si aspettava che gli italiani e il presidente del Consiglio Renzi facessero tutte queste storie. Regeni è stato ammazzato probabilmente dalla polizia egiziana, che fosse italiano è secondario: lavorava per un’istituzione accademica britannica, aspetto importante che però non è così decisivo. La polizia ha l’ordine di tenere d’occhio gli stranieri che ficcano il naso negli affari interni: per sostituire l’islamismo serve un nazionalismo ferreo, implacabile, anche stupido, esercitato in ogni direzione. Il sistema conta più delle persone o dobbiamo ricordare tutti i morti egiziani che ha fatto Al Sisi?

L’Italia è stato il primo governo in Europa a sdoganare il generale golpista. Consegnando il corpo e facendo fuori quattro criminali da strapazzo, Al Sisi pensava di chiudere il caso: un “incidente” che ha coinvolto il cittadino di un Paese sempre pronto a corteggiarlo pur di fare affari, non diversamente peraltro da russi e francesi che vendono caccia e incrociatori. Loro, peraltro, sono anche suoi alleati in Cirenaica, in contrasto evidente con i nostri interessi in Tripolitania.

I misteri? Ce ne sono ma non così fitti. Il più evidente è perché abbiano gettato il cadavere in un fosso quando anche i più stupidi tra “i bravi ragazzi” l’avrebbero occultato sotto tre metri di cemento. La scena è questa: Al Sisi avrà chiesto a un suo sottopancia perché un ministro italiano dell’Economia invece di parlare con lui solo di affari avesse chiesto dove fosse finito un suo connazionale. I raìs non gradiscono imprevisti.

Il capo si è inferocito e scendendo per i rami gerarchici e dell’apparato di sicurezza gli autori dell’omicidio, impauriti, si sono liberati in giornata del cadavere pensando di simulare un incidente. Perché questa era la prima versione con cui speravano di cavarsela con il Capo, non con noi che per loro non contiamo nulla.

Da qui è partita una sequela di errori e giustificazioni. Persino il Capo nell’intervista procurata a un giornale italiano cerca di accreditare la teoria del complotto: un sabotaggio agli affari dell’Eni. Musica per noi giornalisti che sulle dietrologie non ci batte nessuno.

Ma questa è una storia sbagliata, dove la sorte terribile di una vittima ingigantisce l’infamia e la stupidità dei suoi assassini. E ora cerchiamo “soddisfazione” da chi non può darcela, tentando di montare un intrigo internazionale perché non sappiamo cosa fare.

Fateci caso. I due marò, Regeni, la Libia di Gheddafi: siamo diventati i campioni delle fregature, noi, il Paese dei furbetti. Di Regeni in molti dissero, prima di correggere il tiro con la consueta eleganza, che forse non doveva ficcare il naso tra gli operai e i sindacati, ora è diventato un eroe “italiano”, la maschera sanguinante dove nascondere le nostre meschinità e indecisioni. È questa, come cantava Guccini, la piccola storia ignobile del nostro Paese e gli altri la conoscono bene. Cambiarla dipende da noi, non dal generale Al Sisi.

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