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26/01/2016

Libia - Tobruk bocca il governo di Fayez al Sarraj

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Mentre gli Stati Uniti, e anche l’Italia, già scaldano i motori in vista di attacchi in Libia contro l’Isis, dando il via al secondo intervento militare in cinque anni nel Paese nordafricano, ieri la Camera dei Rappresentanti di Tobruk ha negato la fiducia al  governo di accordo nazionale. Hanno votato 104 deputati, 15 per il nuovo governo e 89 contro. Allo stesso tempo con 97 voti favorevoli l’assemblea di Tobruk ha ratificato l’accordo del mese scorso in Marocco per una intesa tra le varie fazioni libiche, congelando però l’articolo 8 che prevede il passaggio dei poteri militari al premier Fayez al Sarraj che ora ha una settimana di tempo per presentare un nuovo governo. Quando un po’ tutti in Occidente, americani in testa, aspettavano il nuovo governo per avere il via libera formale ai bombardamenti, tutto torna in alto mare. Il rischio è che ora salti l’intesa che aveva regalato alla Libia un raro momento di unità nazionale dopo anni di caos totale, guerre tra tribù e conflitti per il controllo delle risorse petrolifere. Una situazione che ha consentito all’Isis di penetrare il Paese in profondità.

Gli Usa scalpitano e nei giorni scorsi il capo di stato maggiore delle forze armate americane, Joseph Dunford, ha detto che un intervento militare è «necessario», sia che il governo libico nasca e chieda il sostegno armato internazionale contro l’Isis, sia che l’esecutivo non veda la luce.

La posizione ufficiale italiana, ripete il ministro degli esteri Gentiloni, è quella di attendere che sia il nuovo governo libico ad invocare l’aiuto (armato) internazionale. Intervistato nel weekend dall’Avvenire, Gentiloni però è stato chiaro nel dire che «se dalle parti libiche non ci sarà alcuna possibilità di pervenire ad un accordo e se la situazione sarà quella di una Somalia a due-trecento chilometri da casa allora l’Italia ha il diritto e il dovere di difendersi e valutare come farlo». Si è anche appreso che dieci giorni fa quattro caccia Amx dell’aeronautica militare italiana sono stati inviati all’aeroporto di Trapani Birgi per “monitorare” la situazione in Libia. Un sito di intelligence ha riferito di un contingente di forze speciali americane, russe, francesi ed anche italiane sarebbero atterrate nel weekend a sud di Tobruk ma la rivelazione non ha trovato alcuna conferma a Roma. In ogni caso la guerra preme alle porte della Libia e neppure il fallimento dell’intesa nazionale sembra poterla impedire.

Era logico attendersi il voto negativo del Parlamento di Tobruk dopo il passo deciso dalle fazioni riunite a dicembre in Marocco di escludere dal comando delle forze armate il generale Khalifa Haftar che appena un anno fa veniva acclamato come il salvatore della Libia dal vicino presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e da un po’ tutti i governi occidentali. Il nodo è l’articolo 8 dell’accordo del mese scorso. Il testo attribuisce al consiglio di presidenza guidato dal primo ministro Sarraj le funzioni di Comandante supremo dell’Esercito libico, l’incarico desiderato dall’ «uomo forte» che gode sempre di larghi consensi. Assorbito il colpo, Haftar non ha tardato a rispondere, alla sua maniera. I segnali della sua controffensiva erano chiari prima del “no” al nuovo governo da parte del Parlamento di Tobruk. Il presidente dell’assemblea, Aqila Saleh, che appena quattro giorni fa aveva ordinato un’inchiesta parlamentare sulle accuse di corruzione rivolte ad Haftar dal suo ex portavoce, il colonnello Mohamed Hejazi, ieri si è fatto fotografare tra il generale e Ali Qatrani, un oppositore dichiarato dell’intesa in Marocco. Poi è sceso in campo lo stesso Haftar per criticare con toni molto duri l’accordo che lo esautora dalla carica di capo delle forze armate. Haftar ha anche previsto che fra «qualche giorno» verrà «l’annuncio della liberazione» di Bengasi dai jihadisti.

La bocciatura del nuovo governo giunta da Tobruk ha subito riacutizzato tensione e scontri nel Paese. Il ministro della difesa del governo di Tripoli ha chiesto ai dipartimenti civili e militari di attuare una “mobilitazione generale”. Gli abitanti della capitale libica e dei centri vicini dovranno segnalare attività sospette di qualsiasi gruppo radicale. Le missioni diplomatiche inoltre dovranno informare le autorità di polizia sugli spostamenti dei propri funzionari fuori dalla residenza abituale. Altrettanto dovranno fare gli stranieri.

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