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21/12/2015

Yemen - Processo di pace vicino al collasso

Macerie di alcune case nella città vecchia di Sana’a dopo un raid saudita. Foto: Getty Images
Che i negoziati per porre fine al conflitto yemenita avessero poche possibilità di successo, lo sapevano in molti. Con differenze abissali, in effetti, si erano presentati martedì a Bienna, in Svizzera, i due opposti schieramenti (houthi e fedeli dell’ex presidente yemenita Saleh da una parte, blocco sunnita a guida saudita, governativi e secessionisti del sud dall’altro). Tuttavia, quanto è accaduto ieri e, in misura minore il giorno precedente, è andato forse al di là di quanto potesse immaginare il più pessimista dei partecipanti. Di fronte alle “continue violazioni del cessate il fuoco” compiute dall’alleanza sunnita, infatti, i ribelli youthi (sostenuti dall’Iran) hanno infatti boicottato le sessioni di incontri della mattina e del pomeriggio. A peggiorare il quadro poi, già di per sé molto complesso, è stata la notizia della presa di Hazm (capitale della provincia settentrionale yemenita di Jawf) da parte di truppe addestrate ed equipaggiate dall’Arabia Saudita.

In realtà le cittadine conquistate dagli alleati di Riyad sono due: accanto ad Hazm le forze governative yemenite che fanno capo al deposto presidente ‘Abd Rabbuh Mansour Hadi hanno detto di aver conquistato giovedì anche la città di Harad, a 15 km dal confine saudita. Di fronte all’avanzata della coalizione, la reazione degli houthi e dei loro alleati non si è fatta attendere: “il cessate il fuoco è defunto”. Che tradotto vuol dire: interruzione dei negoziati finché l’Onu non condannerà le violazioni delle forze governative e non verrà rispettata la cessazione delle ostilità, condizione indispensabile per potersi sedere al tavolo delle trattative. Nonostante i toni duri usati ieri, comunque, al momento non vi è ancora nessuna comunicazione ufficiale sulla fine dei negoziati che, perciò, continuano ufficialmente ad andare avanti.

Ma ad alzare la voce non sono solo i combattenti houthi, ma anche Riyad che ha ribadito che non si impegnerà a rispettare il cessate il fuoco se continueranno le minacce e gli attacchi dei ribelli ai suoi territori. Attacchi non nuovi e che spesso hanno causato la morte delle guardie di frontiere saudite. Ieri è stato il turno della cittadina saudita di Najran (al confine tra Yemen e Arabia Saudita) attaccata, sostiene una fonte vicina a Riyad, anche con razzi. Questa volta, però, l’attacco non avrebbe causato vittime.

In questo clima paradossale dove le parti in lotta parlano di pace in Svizzera continuando però a combattersi in Yemen, a fare una figura barbina è l’Onu che ieri, persino di fronte all’evidenza dei fatti, ha negato qualunque sospensione delle trattative di pace. “Nel mio ultimo incontro con i capi delle delegazioni, tutti i partecipanti hanno rinnovato il loro impegno per il cessate il fuoco” ha twittato in serata l’inviato delle Nazioni Unite nel Paese, Ismail Ould Shaykh Ahmed. Parole confermate anche dal portavoce del segretario generale dell’Onu, Farhan Haq, secondo cui Ahmed “resta in contatto con le parti”. L’Onu non nega la sua “preoccupazione per le violazioni della tregua annunciate oggi”, ma sottolinea come le violenze non abbiano portato al boicottaggio dei lavori da parte degli Houthi.

Eppure in questi giorni di negoziati qualche risultato positivo era stato raggiunto. Giovedì, ad esempio, i ribelli zayditi avevano permesso l’ingresso di materiale umanitario nella città assediata di Taiz acconsentendo anche ad uno scambio di prigionieri (tra questi pure il ministro della Difesa Mahmoud as-Sabahi). Passi timidi, ma che appaiono del tutto irrilevanti se a parlare nel Paese continuano ad essere le armi e se Washington e Bruxelles continuano a tacere di fronte ai crimini compiuti dall’alleato saudita. Nel pantano yemenita, dove truppe e combattenti rivali si affrontano senza avere la meglio gli uni degli altri, a sorridere sono solo al-Qa’eda e lo Stato islamico (Is) che, complice il caos che regna sovrano in Yemen, godono di ampia libertà di azione.

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