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21/12/2015

Spagna: fine del bipartitismo, ma non vince nessuno


Chi ha perso le cruciali elezioni legislative nello Stato Spagnolo è facile comprenderlo. Il Partito Popolare, che nel 2011 aveva ottenuto 10.866.566 voti – cioè il 44,63% e la maggioranza assoluta dei seggi, ben 186 – è stato ampiamente punito dall’elettorato chiamato alle urne per rinnovare il Parlamento di Madrid. A spoglio ultimato la destra ottiene 7.215.530 voti, cioè il 28,72% e 123 seggi.

Per la prima volta nella storia della ‘giovane democrazia spagnola’ (come piace ai media definire 40 anni di transizione incompiuta dal franchismo alla monarchia parlamentare attuale) non è il principale partito di opposizione a beneficiare dell’ampia debacle del partito al governo. I socialisti del Psoe, infatti, sono anche loro calati nettamente, scendendo dal 28.76% di quattro anni fa al 22, ottenendo 90 seggi contro i 110 che avevano nelle Cortes precedenti. Un calo, in termini reali, da 7.003.511 a 5.530.693 voti.

Insieme i due partiti che si sono spartiti il potere negli ultimi decenni sono passati da 296 seggi – e da quasi 18 milioni di voti, il 73% – a 213 seggi – e soli 12,7 milioni di voti, poco più del 50% dei suffragi emessi. Il tradizionale sistema dell’alternanza tra PP e PSOE è stato letteralmente demolito dalle elezioni di ieri, conseguenza di un voto di protesta di milioni di cittadini contro i due partiti considerati responsabili delle misure antisociali adottate dai governi Zapatero prima e da quello Rajoy dopo sotto dettatura della Troika.

Se PP e Psoe devono essere considerati inequivocabilmente gli sconfitti dal voto di ieri, è altrettanto vero che si tratta di sconfitte relative. La destra storica rimane infatti primo partito con una quota vicina al 30%, e grazie ad una legge elettorale cucita apposta sulle necessità del sistema dell’alternanza conquista una consistente pattuglia parlamentare. Anche i socialisti, pur nel forte e storico rinculo, rimangono sopra il 20% ed evitano lo scenario greco dove i cugini del Pasok sono stati ridotti ad una presenza quasi insignificante nel parlamento di Atene. Considerato che Grecia e Spagna sono i più importanti paesi sottoposti in questi ultimi anni al controllo della Troika e a pesantissime politiche di austerity, il rischio era consistente.

Se PP e Psoe non sono quindi ‘sconfitti assoluti’, sul fronte opposto anche Podemos e Ciudadanos non possono essere considerati ‘vincitori assoluti’.

La vittoria di Podemos c’è stata ed è innegabile, dimostrando in parte quella rimonta che i sondaggi della vigilia presagivano. Ma il partito nato pochissimi anni fa con caratteristiche ‘antisistema’ e via via moderatosi e conformatosi agli angusti recinti dati della politica e dell’economia, non ha sfondato a tal punto da impensierire direttamente né il PP né il Psoe, partiti ai quali pure ha sottratto una consistente quota di elettori (soprattutto ai socialisti). Il simbolo di Podemos è stato votato in tutto lo stato da 3.181.952 elettori, il che equivale al 12.67% e a 42 seggi. I media italiani, e incredibilmente anche alcuni iberici, durante la maratona elettorale di ieri sera hanno creato una enorme confusione sul risultato reale del partito di Pablo Iglesias, contando nel mucchio di Podemos anche i seggi conquistati in alcune comunità autonome dalle liste formate da questo movimento insieme a partiti e coalizioni locali: En Comù Podem che in Catalogna ha conquistato 12 seggi (il 3.69% a livello statale); la coalizione tra Podemos, Compromis ed altri gruppi che a Valencia ha preso 9 seggi (il 2.67%) e infine quella che in Galizia ha riunito Podemos e alcuni raggruppamenti locali – ‘En Marea’ – che si è affermata con 6 seggi (l’1.63% a livello statale). Solo una parte di questi 34 seggi possono e devono essere attribuiti a Podemos a livello nazionale, perché una parte di questi sono espressione di movimenti regionali di centrosinistra, sinistra e federalisti, alcuni dei quali con forte radicamento e tradizione. Podemos quindi non ha conquistato 76 seggi, come invece riportato da numerosi quotidiani e telegiornali. Quota che comunque non gli avrebbe permesso di sopravanzare i socialisti né in termini di eletti, né in termini percentuali (20.66) né in termini di voti assoluti (5.189.333). A livello locale, Podemos o le coalizioni che ne vedono la presenza diventano comunque prima forza nella Comunità Autonoma Basca e in Catalogna, oltre che in altre regioni.

Neanche la cosiddetta ‘Podemos di destra’, cioè il movimento liberista e nazionalista spagnolo Ciudadanos si è affermato nei termini che i sondaggi prevedevano. Il cosiddetto ‘Partito della Cittadinanza’ ha ottenuto il 13.93% con 3 milioni e mezzo di voti – sottratti principalmente al PP – e solo 40 seggi. Troppo pochi per definirsi, almeno per ora, il sostituto dei popolari nella sempre più complessa geografia politica iberica, ma anche per rappresentare una stampella che riporti la destra ‘storica’ al potere. Da notare che in Catalogna, dove Ciutadans era nato nove anni fa nel tentativo di bloccare l'ascesa del nazionalismo catalano, il partito di Albert Rivera prende un magrissimo 13%, mentre i sondaggi lo davano in cima alla classifica o poco sotto.

Pessimo risultato per Izquierda Unida – Unidad Popular. La coalizione di sinistra, scossa da litigi interni e da scissioni continue (tutte verso destra) e messa in ombra dall’ascesa di Podemos passa da 11 a 2 seggi, conquistati entrambi nella regione di Madrid. La formazione guidata dal giovane Alberto Garzòn si dimezza, passando da 1.686.040 (6,92%) a 923.105 voti (il 3,67%), diventando praticamente ininfluente nel nuovo parlamento statale.

Per quanto riguarda le altre formazioni, da notare la consistente affermazione dei socialdemocratici indipendentisti catalani di Esquerra Republicana, che da 3 seggi passano a 9 (grazie anche all’assenza nelle elezioni statali della sinistra indipendentista radicale, visto che la Cup ha deciso di non presentarsi favorendo la sinistra moderata rappresentata da ERC e da En Comù della sindaca di Barcellona Ada Colau). Risultato pessimo, invece, per i liberalnazionalisti catalani di Democracia i llibertat (di fatto Convegenca Democratica di Artur Mas sotto mentite spoglie) che ottiene solo 8 seggi rispetto ai 16 che aveva conquistato nel 2011.

Tracollo storico per la coalizione indipendentista basca, quella che contiene Sortu, il partito erede di Batasuna. La volta scorsa la coalizione Amaiur aveva conquistato ben 7 seggi tra Comunità Autonoma Basca e Navarra, (diventando prima forza nella CAV) mentre questa volta si ferma solo a 2 rappresentanti. Una sconfitta netta anche dal punto di vista percentuale e dei voti assoluti, da 334.498 voti (1,37%) a 218.467(0,87%). Sempre nel Paese Basco i democristiani-liberali del Partito Nazionalista Basco soffrono l’exploit di Podemos ma reggono, conquistando 301.585 voti, l’1,20%, e 6 seggi contro i 5 della volta scorsa (324.317 e 1,33%).

Sconfitti invece gli indipendentisti galiziani di sinistra di Nòs-Candidatura Galega che perdono i 2 seggi conquistati nel 2011.

Da notare che la giornata elettorale di ieri ha visto una consistente mobilitazione dell’elettorato, con una crescita del tasso di partecipazione dal 69 al 73.2%. Non solo è calata sensibilmente l’astensione, ma anche la quota di schede nulle o bianche è scesa di più di un terzo, segno che questa volta una quota consistente di cittadini ha considerato le elezioni un momento importante per esprimere il proprio parere, la propria indicazione. Risultato delle durissime conseguenze sociali generate dalla cura da cavallo targata Troika e dall’emergere di nuove forze politiche in un panorama blindato e bloccato dall’alternanza tra centrosinistra e centrodestra che sembra essere stata mandata in soffitta.

Peccato che i numeri usciti dalle urne consegnano un quadro di sostanziale ingovernabilità del nuovo parlamento. Come detto, un’alleanza tra la vecchia e la nuova destra non ha i numeri per ottenere la maggioranza assoluta, e difficilmente altre forze parlamentari potranno sommare i propri seggi a quelli del PP e di Ciudadanos per superare l’asticella dei 176 scanni.

Anche un’alleanza che costringa i popolari all’opposizione tra tutte le forze politiche di centrosinistra, sinistra e ‘anticasta’ sembra assai improbabile. I numeri, sommando Psoe, Podemos, le coalizioni locali formate da Podemos e movimenti di centrosinistra e federalisti, e Ciudadanos, ci sarebbero anche. Ma pensare che un governo formato da realtà politiche così dissimili possa durare più di qualche settimana è assai azzardato.

Ed ecco quindi spuntare due ipotesi più probabili. O una “grande coalizione” tra gli eterni rivali del PP e del Psoe, che hanno programmi simili e potrebbero contare sul placet di un’Unione Europea fortemente interessata ad un governo stabile che continui a tenere dritta la barra dell’austerità, delle privatizzazioni, della precarizzazione del mondo del lavoro. Oppure lo scioglimento tra qualche mese del parlamento appena eletto e il ritorno alle urne, nella speranza che questa volta ne esca un quadro meno frammentato e più governabile. A favore del primo scenario gioca una tendenza che sembra egemone in un numero sempre maggiore di paesi dell’Unione Europea, dove i partiti di centrodestra e centrosinistra ricorrono ad alleanze fino a poco fa ritenute ‘innaturali’ pur di formare governi stabili in grado di affrontare le difficili sfide determinate dalla gestione della crisi e dall’emergere di movimenti politici e di opinione di diversa natura – di estrema destra, nazionalisti, populisti – che contestano alcuni tratti del processo di gerarchizzazione e centralizzazione continentale mettendo a rischio la ‘stabilità’ dei rispettivi sistemi politici.

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