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26/11/2015

Turchia e Russia: i giochi d’azzardo del fronte siriano

L’abbattimento del Su-24 russo da parte dei Turchi apre una fase diversa del conflitto mediorientale per comprendere la quale occorre iniziare dalla logica che guida i due contendenti ed i due “convitati di pietra” (Usa ed Isis).

Erdogan coltiva confessatamente il sogno neo ottomano di una “Grande Turchia” che torni ad essere grande potenza di area e la satellizzazione della Siria (o di una sua larga porzione) è il primo passo in questa direzione. Si comprende perfettamente come l’intervento russo in appoggio ad Assad (ma, più che a lui personalmente, al suo clan alawita) sia un disturbo insopportabile di questo disegno. E, peggio ancora, se questo si accompagna ad un avvicinamento americano ai russi da un lato ed all’Iran (altro disturbatore sul fronte siriano) dall’altro. Questo realizzerebbe una “tenaglia” che escluderebbe la Turchia dai giochi ed il timore principale è che questo possa favorire la proclamazione di uno stato dei curdi, ad oggi, unici a combattere realmente l’Isis.

La sostanziale complicità della Turchia con l’Isis (come altrimenti spiegare il tranquillo flusso di petrolio, armi e combattenti da e per il Califfato?) è una soluzione tattica sia in senso anti curdo, sia per tenere la tensione funzionale a tenere aperta la situazione, sia come antemurale verso la marea sciita che sale.

Ma questo schema è in forte contraddizione con un altro aspetto della politica di potenza di Ankara: Erdogan gioca a tutto campo e sta cercando buoni rapporti con la “comunità di Shangai” (composta da Cina, Russia e quattro stati centrasiatici dell’ex Urss) ed ha seri interessi economici in comune con Mosca che, a sua volta, ha interesse a tenere buoni rapporti con la Turchia sia per far passare le sue navi dallo stretto dei Dardanelli che per la “partita dei gasdotti”.

Ma, allora, perché la Turchia si è indotta ad un passo così rischioso che rischia di precludergli l’operazione “comunità di Shaghai” e mette a rischio i lucrosi affari con Mosca?

La partita economica non ha scadenze immediate ed Ankara può sempre pensare di recuperare la rottura in un secondo momento, mentre il rischio del consolidarsi dell’asse russo-alawita-iraniano in Siria è imminente ed assai concreto e fa paventare ancor più la temuta nascita dello stato del Kurdistan, con successivo pericolo di secessione delle sue province sud orientali. Quel che sarebbe un disastro dal quale uscirebbe una Turchia più piccola, altro che Grande!

L’abbattimento del jet russo punta ad una serie di effetti a catena: creare una situazione di forte tensione con la Russia che, se incassa il colpo senza reagire, ne esce seriamente ridimensionata ed è costretta ad abbassare il tiro in Siria, se reagisce militarmente crea una situazione di potenziale conflitto con la Nato (cui, sciaguratamente, la Turchia appartiene) ed, intanto, questo rilancia il conflitto ucraino che stava scemando preoccupantemente (per Ankara); in ogni caso questo spezza momentaneamente il fronte anti Isis e tiene la situazione ancora aperta. Dunque, una sorta di operazione “rischio calcolato”.

La Russia, dal canto suo, pur non avendo particolari motivi di urto con la Turchia (in fondo, può fare i suoi giochi in Siria senza entrare in conflitto diretto con i Turchi), si trova, però, in un momento difficile della sua strategia. Dal 2008, con la crisi georgiana, si è riproposta sullo scenario mondiale come grande potenza, quantomeno di area, dopo il “ventennio delle umiliazioni” che l’aveva ridotta al rango di media potenza marginale. Successivamente le aspettative di Mosca sono cresciute e la “sfilata della vittoria” il 9 maggio, con la partecipazione di reparti cinesi e con la presentazione del nuovo carro T14, lo ha chiarito molto bene. La Russia punta ad un equilibrio mondiale a tre con se stessa al centro fra Usa e Cina. L’intervento in Siria, un intervento militare fuori dell’area dell’ex Urss per la prima volta dopo 25 anni, è la dimostrazione di questo nuovo ruolo di grande potenza di serie A. E questo approfittando dell’indecisione euro americana sul che fare verso il Califfato.

Dunque, come può incassare il colpo senza reagire? In qualche modo, deve dare una dimostrazione di forza perché diversamente tornerebbe al rango di potenza di serie B. Però non può liquidare il tentativo di riavvicinamento agli Occidentali. La Russia ha offerto la sua disponibilità a cavare la castagna dal fuoco dell’Isis per conto degli euro-americani, ma, ovviamente in cambio della chiusura delle sanzioni economiche. Dunque, non può né farsi mettere il bastone fra le ruote da una Turchia qualsiasi né scatenare una guerra che riaprirebbe con violenza la ferita ucraina.

Per ora Mosca si limita a mostrare i muscoli, schierando navi e missili, ma assicurando di non avere intenzioni di scatenare una guerra con l’incauto vicino. Peraltro, non ha neppure richiamato l’ambasciatore ad Ankara. Questo però non esclude né che possa esserci un nuovo “incidente di confine” a parti invertite, né il blocco dell’adesione turca alla comunità di Shanghai, né una campagna mediatica sui rapporti fra turchi e Califfato, né operazioni coperte (ad esempio, armare sino ai denti i curdi del Pkk). Anche qui, le scelte saranno fatte sulla base del “rischio calcolato”.

Gli americani, e di conseguenza la Nato, non sanno che pesci prendere, spandono fiumi di camomilla: i russi non stanno simpatici, ma rinunciare ad una loro mano per chiudere la questione Califfato sarebbe sciocco, non possono abbandonare un paese Nato, ma via via che dovessero venire fuori le sue compromissioni con l’Isis, diventerebbe impossibile continuare a fingere di ignorarle. Per cui si limitano a predicare la clama e magari proporranno una loro mediazione se la situazione dovesse salire di temperatura.

Al contrario, l’Isis ha interesse a rilanciare la tensione: sin qui hanno dimostrato di essere abilissimi ad infilarsi nelle spaccature e nelle indecisioni degli altri e la cosa più probabile è un nuovo attentato mirato ad approfondire la rottura del fronte avversario.

Tutti giocano d’azzardo, camminando pericolosamente su una corsia assai sottile. Il guaio peggiore è che ciascuno ha in mano una fiaccola accesa, che sotto c’è una catasta di dinamite pronta ad esplodere e che ai margini dello spettacolo ci siamo noi a guardare.

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