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25/11/2015

Libia - Lo Stato Islamico avanza

di Francesca La Bella

Dopo gli attentati di Parigi e l’incremento dei timori rispetto alla capacità di mobilitazione e di azione dello Stato Islamico (IS), molti analisti e rappresentanti statali si sono espressi sul destino della Libia. Se il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha sottolineato la necessità di un summit internazionale che coinvolga i Paesi dell’area (Egitto e Tunisia in primis) teso a risolvere la contesa libica in quanto le divisioni interne al Paese africano sarebbero, a suo parere, la causa principale dell’espansione e del sempre maggiore radicamento del movimento islamista in tutta l’area nord-africana, lo stesso Ministro degli Esteri del Governo di Tobruk ha preso parola sulla questione. In un intervista rilasciata alla stampa algerina, Mohammed al-Dairi avrebbe, infatti, affermato che, a seguito dei bombardamenti russi in Siria, il flusso di foreign fighters legati all’IS in arrivo in Libia sarebbe esponenzialmente aumentato e che, a fronte di un’instabilità interna ormai endemica, il Paese rischia di trasformarsi nella nuova base logistica dell’IS.

Grazie a condizioni favorevoli a livello interno e d’area, la presenza delle milizie jihadiste in territorio libico, ormai da molti mesi documentata, sarebbe, dunque, in espansione. Oltre al controllo di Sirte e di alcune piccole enclavi nelle zone centrali del Paese, l’IS manterrebbe, nonostante il conflitto di giugno con gruppi jihadisti locali che obbligò il movimento ad arretrare in maniera significativa, una presenza stabile alle porte di Derna, città portuale del nord-est libico. Sarebbero, inoltre, presenti cellule attive nelle città principali come Benghazi e Tripoli e, grazie alla porosità dei confini nazionali, sempre maggiore sarebbe il flusso di militanti e armi in ingresso e in uscita dal Paese. La mancanza di uno Stato centrale stabile e la frammentazione del controllo territoriale avrebbe, infatti, consentito allo Stato Islamico libico di diventare nucleo centrale di una rete di alleanze con altri gruppi dell’area come Boko Haram (ora ISWA-Islamic State Western Africa) o Morabituon (ala dissidente di AQIM-Al Qaeda nel Maghreb Islamico, confluita nello Stato Islamico) che, in Libia, avrebbero trovato una base di coordinamento per le proprie azioni nell’area.

L’instabilità libica che, per molti mesi, è stata considerata la prima causa degli ingenti flussi migratori verso l’Europa, aprendo a discussioni di ampio raggio sul pattugliamento dei confini e su eventuali interventi tesi a bloccare le partenze è tornata, dunque, ad essere centrale nelle analisi perché considerata la principale barriera all’opera di contrasto dell’avanzata dei gruppi facenti riferimento ad Al Baghdadi. Il timore che l’IS, grazie all’arrivo di nuovi militanti ed all’effetto emulativo conseguente agli attentati parigini, possa prendere il controllo di una parte consistente del territorio libico, induce a premere sui Governi di Tripoli e Tobruk perché trovino un accordo per un Governo di unità nazionale e varino piani di intervento coordinato di contrasto allo Stato Islamico. In questo senso si leggano sia l’invito del nuovo inviato delle Nazioni Unite Martin Kobler perchè la bozza di accordo, senza nuove modifiche, venga firmata dalle due parti al più presto, sia il progetto di colloqui “Libia-Libia”, svincolato dall’egida ONU. La crescente disillusione rispetto all’imparzialità della mediazione ONU a seguito dello scandalo dell’assunzione dell’ex inviato ONU Bernardino Leon presso l’Accademia diplomatica degli Emirati Arabi ad Abu Dhabi, ha, infatti, portato ad un tentativo di mediazione tra i due Governi, guidato da una delegazione della città di Jadu, che prevederebbe la creazione di un consiglio legislativo comune il cui compito consisterebbe nel nominare, in seguito, un Governo ad interim.

L’attenzione sul destino della Libia e la centralità data alla necessità di accordo tra i due Governi, nasconde, però, parte della complessità della questione libica e molte delle responsabilità internazionali nell’attuale condizione di instabilità. Per quanto riguarda il primo aspetto i due Governi di stanza a Tripoli e Tobruk e lo Stato Islamico rappresentano solo alcune delle forze in campo alle quali devono essere aggiunti altri attori di fondamentale importanza. La disarticolazione delle strutture statuali ha, infatti, lasciato spazio alla prolificazione di gruppi armati minori nelle aree periferiche con la recrudescenza di conflitti pregressi come, ad esempio, nel caso di Tuareg e Tebu nel Fezzan.

Rispetto alle responsabilità internazionali, invece, l’attenzione posta in questi ultimi giorni all’azione armata fallimentare per la destituzione del Colonnello Gheddafi, non restituisce la reale dimensione dell’investimento internazionale nelle questioni libiche. Prescindendo da casi eclatanti come quello dell’ex inviato ONU Bernardino Leon, accusato di conflitto di interessi per aver sostenuto gli interessi degli Emirati Arabi Unit (EAU) in Libia ed aver, per questo, ottenuto un rilevante incarico ad Abu Dhabi, molti soggetti internazionali, privati e statuali, hanno avuto un ruolo di armamento e finanziamento delle diverse milizie. Al fine di tutelare la sicurezza degli investimenti internazionali, perlopiù nell’ambito degli idrocarburi, sono, infatti, stati sostenuti e finanziati soggetti diversi che, in una data fase, avessero la capacità di controllare adeguatamente il territorio. Questo ha portato ad un inasprimento degli scontri, favorendo una sempre maggiore frammentazione della società libica, chiudendo ogni possibilità di risoluzione interna del conflitto e lasciando sempre maggiore terreno all’avanzata dei gruppi jiahadisti in generale e dello Stato Islamico in particolare.

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