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25/09/2015

Meritocrazia

Mantengo un impegno preso due settimane fa: scrivere sulla meritocrazia, argomento sul quale c’è molta confusione. Partiamo da un assunto: la divisione sociale del lavoro è una realtà che si afferma con il sorgere della civiltà e non è un dato eliminabile, a meno di non voler regredire all’età della pietra.

Marx sosteneva che la divisione sociale del lavoro cesserà nella società comunista (meta della storia umana, lui pensava), quando lo sviluppo dei mezzi di produzione renderà minima e fungibile l’erogazione di ore di lavoro umano. Forse una simile età dell’oro verrà in un futuro lontanissimo ed imprevedibile (personalmente, ho il forte dubbio che possa essere mai realizzabile) ma lasciamo perdere questa discussione: di fatto non è un traguardo in vista, per cui ragioniamo sui dati di fatto destinati a non modificarsi in un tempo prevedibile.

Dunque, la divisione del lavoro esiste, è ineliminabile e non è egualitaria, ma gerarchica, perché ci sono mansioni relativamente “facili”, magari faticose, nocive o pericolose, ma alla portata (almeno teoricamente) di qualsiasi essere umano anche non addestrato: trasportare a spalla sacchi di cemento lo possono fare tutti, salvo il limite della resistenza fisica.

Vice versa, fare il medico, l’ingegnere, il giurista o il pilota d’aereo richiede una preparazione specifica e, quindi, sono mansioni che incorporano una dose di sapere sociale via via maggiore. Badate che la gerarchia di cui parlo non riguarda le persone che fanno questo o quel lavoro, ma le mansioni in quanto tali, il come questo si rifletta poi nella stratificazione sociale è cosa che consideriamo a parte. Ovviamente, questo implica una serie di differenziali di considerazione sociale, di retribuzione, di potere ecc, per cui, altrettanto scontatamente, ci sono mansioni più desiderate di altre e, più si tratta di mansioni apicali, più sono ricercate.

Per scegliere chi farà il chirurgo, il manager, il ministro o il docente universitario, abbiamo questi metodi di selezione possibili:

- per censo;

- per successione familiare;

- per appartenenza di casta;

- per competenza.

Che la selezione avvenga per nomina dall’alto, per elezione dal basso o per prove concorsuali non cambia nulla: i criteri restano quelli elencati perché chi nomina, vota o valuta lo può fare seguendo il criterio del più ricco, della successione per diritto familiare (il congiunto più vicino alla persona da sostituire), per appartenenza ad una determinata casta (corporazione, lobby, partito politico...) o scegliendo il più competente. Credo che, dal punto di vista dell’utilità generale il criterio più auspicabile sia l’ultimo. Poi ci sono le soluzioni di fantasia: per corteggio, a turno, per anzianità, per avvenenza fisica ecc. ma saremo tutti d’accordo a non prenderle in considerazione.

Il criterio della competenza non è di per sé democratico o antidemocratico, ma semplicemente utilitaristico, per cui esso è stato caratteristico (almeno teoricamente o in parte) tanto di moderne società democratiche come quelle scandinave quanto di società antiche e dispotiche come l’Impero Cinese che, appunto, inventò il metodo degli “esami” in cui dar prova delle proprie conoscenze e abilità.

Una società democratica non può eliminare il carattere gerarchico della divisione del lavoro, ma, avendo alla sua base il valore dell’eguaglianza (almeno, così dovrebbe essere) cerca di bilanciare questo dando a tutti la migliore eguaglianza dei dati di partenza, per garantire che il prescelto sia il migliore possibile. Dunque la selezione per competenza (altrimenti detta “meritocrazia”) è propria dei sistemi democratici.

Poi, però, intorno a questo assunto sono sorti molti equivoci, in particolare ad opera di quel confusionario classista di Michael Young che, a fine anni cinquanta, pubblicò “The rise of the Meritocracy” che è un catalogo di esilaranti scemenze. E si iniziò a strologare di misurazione dell’intelligenza (come se fosse un dato innato e come se di intelligenze ce ne sia di un solo tipo) qualcuno iniziò a dire scemenze del tipo di classi differenziate per i ragazzi superdotati, altri di strutturare la società per “classi intellettuali”. Questi sono deliri che non hanno nulla a che fare con il principio della attribuzione delle responsabilità per competenza. Se poi vi dà fastidio il nome, chiamatelo come vi pare, mettiamoci d’accordo, ma il principio della selezione per competenza resta ed è non solo compatibile con la democrazia, ma valore fondante di essa.

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