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27/08/2015

Sicurezza e guerra all’alba del XXI secolo: il grande gioco

Ancora oggi, l’opinione più diffusa fa coincidere i problemi della sicurezza dello Stato con quelli di natura militare: la parola guerra è ancora associata all’idea di scontri di aerei, carri armati. Ma da oltre mezzo secolo le cose sono andate mutando.

Proprio l’impossibilità di giungere ad una guerra aperta fra i due grandi blocchi – pena un conflitto nucleare reciprocamente distruttivo – spinse a cercare altre strade per piegare la volontà dell’altro alla propria, cioè, altre forme di guerra.

Il concetto di strategia andò affrancandosi dall’originaria pertinenza militare, diventando un concetto molto più ampio:

ho voluto di proposito collocarmi sul piano della strategia totale, quella che ha per oggetto di condurre i conflitti, violenti o insidiosi, contemporaneamente nel campo politico, economico, diplomatico, militare, e che presenta  pertanto un carattere generale. Infatti, la strategia diventa in genere inintelligibile se si limita al campo militare, in quanto troppi fattori decisivi sono trascurati.
Dal momento in cui Beaufre scrisse queste righe (1963) è passato mezzo secolo in cui il concetto di strategia è diventato sempre più onnicomprensivo, inghiottendo l’economia, la ricerca scientifica, il sistema satellitare, la finanza, la propaganda politica, le reti telematiche, ecc. e le guerre sono sempre meno guerre aperte ed a carattere militare, mentre diventano sempre più commerciali, valutarie, finanziarie ecc.

Dunque, la strategia è sempre più orientata sul versante economico-finanziario piuttosto che su quello militare. Ma, pur sempre, la dimensione militare non scompare ed assume la forma di conflitto indiretto di appoggio a guerriglie, di attacchi informatici ecc. Questo ha la conseguenza per cui la dimensione militare deve essere coperta: come reagirebbe un paese se un suo confinante rivendicasse un attacco alle sue reti informatiche o un attentato batteriologico? La strada sarebbe aperta verso la guerra dichiarata. Dunque, guerra coperta che può coinvolgere anche strumenti di natura economico finanziaria: fine della guerra è piegare la volontà dell’altro alla propria, che questo avvenga con forme esclusivamente militari o usando sinergicamente mezzi della più varia natura, ha poca importanza, quel che conta è il risultato.

Ne discende che il conflitto coperto può anche essere condotto in modo che l’aggredito non sappia con sicurezza da dove gli viene il colpo e, pertanto, diriga le sue ritorsioni o misure cautelari verso più antagonisti. E con questo l’aggressore registra già un successo, moltiplicando le situazioni di conflitto dell’aggredito. Inoltre, questo implica anche la possibilità che il conflitto di interessi riguardi due paesi legati da una alleanza politico-militare ma divisi da rivalità commerciali o da ragioni valutarie. E, dunque, il sistema di relazioni internazionali, formalmente costruito su una serie di alleanze formalizzate e stabili, assumerà nei fatti la conformazione di un sistema dinamico, con alleanze e contrapposizioni momentanee. Anzi, può benissimo accadere che due o più paesi siano contemporaneamente alleati su alcune questioni e ferocemente contrapposti su altri, dando luogo ad un sistema  “a geometria variabile”. Questo è tanto più probabile che accada in un sistema policentrico ed in una situazione in cui non ci sia pericolo di scontro militare imminente.

La situazione attuale è esattamente questa: il pericolo di un conflitto militare aperto e generalizzato fra grandi potenze non sembra imminente, mentre si moltiplicano i motivi di contrapposizione fra esse:

- sul piano valutario gli Usa e la Cina sono apertamente in conflitto, i paesi esportatori di materie prime (Russia, India, Brasile) sono esposti dal rischio di una guerra monetaria e dalle difficoltà di esportare; la Russia è sotto pressione per il blocco commerciale seguito alla crisi ucraina; Ue e Giappone sono stritolati fra le opposte manovre di Cina ed Usa.

- Cina ed Usa sono in piena guerra commerciale che sta assumendo anche una dimensione di deterrenza militare da parte degli Usa che, a novembre 2011, hanno realizzato una sorta di accerchiamento aeronavale della Cina per indebolire i suoi rapporti commerciali nel Pacifico e ostacolare il rifornimento di materie prime e che hanno poi ripetuto la manovra in forme meno evidenti nel 2014, mentre ora si prospettano manovre navali congiunte russo cinesi nello stesso spazio marittimo come risposta.

- Sul piano militare esiste ancora l’Alleanza fra gli Usa e molti paesi europei, ma la solidarietà atlantica è avvertita in gradi molto diversi da ciascuno e lo scandalo ricorrente delle intercettazioni americane di telefoni dei leader europei turba periodicamente i rapporti fra le due sponde dell’Atlantico; non esistono altre alleanze politico-militari del genere, ma c’è l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che è qualcosa di più di un semplice accordo economico fra Cina e Russia ma meno di una organica alleanza militare, una sorta di ente cordiale per preservare un comune spazio strategico da intromissioni esterne.

- Sul piano dell’accaparramento di materie prime si manifesta un conflitto di “tutti contro tutti” nel caso della politica di land grabbing in Africa, dove Usa, Francia, Russia, Cina, Corea del Sud, Arabia Saudita, Emirati arabi si contendono le terre fertili d’Africa.

- Soprattutto, è riemersa un'antica “logica di potenza” per la quale, di fronte ad una potenza che cerca di imporre la propria egemonia, le altre si coalizzano per bloccare il tentativo. E questo è il senso dell’intesa dei Brics, mentre Giappone e Ue restano in una posizione ambigua, ma tendenzialmente vassalla degli Usa.

Pertanto, stenta ad affermarsi un nuovo ordine mondiale inteso come equilibrio stabile fra le potenze: siamo a metà fra un ordinamento monopolare ed uno policentrico. C’è ancora una sola super potenza in grado di intervenire militarmente in ogni parte del Mondo, ma ci sono almeno altre quattro grandi potenze in grado di controllare le rispettive zone sub-continentali e di respingere attacchi esterni anche americani (Russia, Brasile, India e Cina). Ovviamente, gli Usa continuano a lavorare ad un progetto monopolare, mentre gli altri, e soprattutto la Cina, lavorano ad un progetto multipolare basato su grandi aree continentali controllate ciascuna da una grande potenza. Qualcosa che somiglia allo scontro fra la supremazia inglese e la sfida tedesca a cavallo fra XIX e XX secolo.

Il blocco asiatico, peraltro, è tutt’altro che compatto: fra Cina e Giappone e fra Cina ed India le fasi di disgelo e quelle di tensione sono continue. Soprattutto i rapporti sino-indiani sono per più versi problematici. In primo luogo la sfida fra i due colossi è per il controllo dell’Oceano Indiano, che l’India considera di sua esclusiva pertinenza e ne è insidiata dalla Cina. La Cina ha recentemente varato la sua prima portaerei (di classe Varyag), ma l’India  ne ha già tre con una flotta di 170 unità fra cui diversi sommergibili nucleari. E, più ancora, i due paesi risentono della linea di faglia che corre fra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari che hanno già combattuto tre guerre (1948, 1965 e 1971) oltre a due conflitti limitati (Siachen 1984 e Kargil 1999). Inoltre, l’India ha ripetutamente accusato il Pakistan di essere dietro agli attentati dei terroristi kashmiri come la strage di Mumbai (novembre 2008). Bisogna ricordare che il Pakistan è, insieme alla Corea del Nord, l’unico alleato della Cina che, dunque, corre il rischio di essere risucchiata in un eventuale conflitto indo-pakistano. Inoltre l’India accusa la Cina di fomentare la guerriglia nell’Andra Pradesh, e Pechino accusa l’India di aizzare il separatismo del Tibet.

Dunque, una situazione complessa ed instabile nella quale anche i disegni di alleanze non durano molto e spesso non riescono neppure ad assumere forma: nel 2006 parve che India e Cina superassero i loro contenziosi per trovare una forte convergenza economica, si parlò addirittura di “Cindia”, il nuovo grandissimo attore della scena mondiale, ma l’intesa durò meno di un anno. Nel 2009 sembrò affermarsi un nuovo bipolarismo fra Cina ed Usa, si parlò di G2 e di “Chimerica”, ma, appunto, fu una chimera durata meno di quattro mesi; e gli esempi potrebbero proseguire.

Peraltro, il “grande gioco” è ulteriormente complicato dalle inedite dinamiche fra nazionale ed internazionale: le grandi potenze sono tutte interne allo stesso processo di globalizzazione – per cui sarebbe errato contrapporre “nazionalisti” a “globalisti” – ma hanno davanti a sé ipotesi diverse di collocazione nel mondo globalizzato, quel che implica strategie, alleanze, ipotesi commerciali e orientamenti militari e politici diversi fa loro e ciascuna soluzione è più vantaggiosa per una cordata di potere interna in contrapposizione ad un’altra, quindi dinamiche politiche interne ed internazionali si incrociano e condizionano a vicenda in continuazione, rendendo il quadro sempre più fitto di dinamiche interdipendenti. Ogni potenza agisce come un magnete sulle componenti delle altre, ma inevitabilmente, subisce la stessa forza di attrazione sulle sue.

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