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26/08/2015

In Libano non è guerra ai rifiuti, ma scontro politico

di Francesca La Bella

Una protesta contro il mancato smaltimento dei rifiuti. Così sono state presentate le manifestazioni che hanno attraversato il Libano in questi giorni. Con una facile metafora, c’è chi si è spinto ad affermare che la dirigenza politica libanese vada eliminata, come la spazzatura ormai da molti giorni nelle strade di Beirut a seguito della chiusura di una delle discariche più grandi del Paese. Per alcuni analisti questo movimento sarebbe assimilabile, per linguaggio e pratiche, a quelli che, a partire dal 2011, diedero vita alla primavera araba. L’eccezionalità della situazione libanese lascia, però, spazio ad altre interpretazioni di questi avvenimenti.

Il Paese dei Cedri vive da più di un anno una condizione di vacuum istituzionale dovuto all’impossibilità di eleggere un Presidente a causa dei veti incrociati delle principali forze politiche. Questo ha significato, da un lato, un’estenuante contrattazione tra le parti che ha posto in secondo piano la discussione di provvedimenti economici e sociali per migliorare le condizioni di vita dei libanesi e, dall’altro, ha accresciuto il malcontento della popolazione verso l’una o l’altra fazione. Le divisioni in seno al Parlamento e alla società libanese sono, infatti, profonde e trascendono dalla realtà nazionale, investendo questioni d’area d’ampio respiro. Il flusso continuo di profughi a causa delle guerra siriana e la diversa posizione assunta dai partiti libanesi in merito alla guerra stessa, lo schieramento dei due principali attori nell’area, sauditi e iraniani, al fianco del Governo i primi e a sostegno dell’opposizione sciita guidata da Hezbollah i secondi, sono fattori di primaria importanza per la comprensione degli eventi di questi giorni.

Laddove esiste una frattura sia politica sia sociale tra le parti di tale rilevanza, la partecipazione a questa tipologia di proteste, anche se formalmente scevre da posizioni di parte, apparentemente comporta un’intrinseca appartenenza all’uno o all’altro schieramento. In questo caso, le manifestazioni per il mancato ritiro dei rifiuti e contro la corruzione, sono indirizzate anche e soprattutto alle politiche di liberalizzazione del Primo Ministro Tammam Salam e, di conseguenza, facilmente assimilabili a coloro che rappresentano la principale forza di opposizione: Hezbollah. Per quanto questa definizione possa risultare parziale e, in una certa misura, riduttiva della reale proporzione di un fenomeno in divenire, essa ci aiuta a leggere con maggiore chiarezza le risposte del Governo.

La costruzione di un muro a difesa dell’ufficio del Primo Ministro, l’accusa di infiltrazione di membri di Hezbollah in manifestazioni inizialmente pacifiche e l’invito ai propri cittadini a non visitare il Libano di alcuni Paesi del Golfo (Bahrein, Kuwait e Arabia Saudita) sono le evidenze di un processo di settarizzazione delle proteste. Il ridimensionamento degli eventi a scontro politico tra fazioni consentirebbe da un lato di persuadere buona parte dei manifestanti ad abbandonare le piazze e, dall’altro, permetterebbe una repressione più mirata. In questo senso, l’utilizzo strumentale di un movimento di protesta sia da parte del Governo sia da parte dell’opposizione non è fatto nuovo né nel Medio Oriente attraversato dalla Primavera Araba né in altre parti del mondo. Questo non dovrebbe, però, porre in secondo piano le legittime motivazioni di chi si oppone alle politiche governative. Che si tratti di appartenenti a gruppi politici consolidati o di persone mobilitatesi per la prima volta, nell’eterogenea partecipazione alle piazze libanesi si può leggere il malcontento per una cattiva gestione della questione rifiuti e per la dilagante corruzione, ma anche la bocciatura di una classe politica, spesso eterodiretta, incapace di guardare ai bisogni della società libanese nel suo complesso.

Per quanto le situazioni siano sempre uniche e sia preferibile non confrontare esperienze diverse, la dinamica in atto in Libano oggi ricorda in alcuni aspetti quella turca di maggio-giugno 2013. Le persone scesero in strada a difesa degli alberi di Gezi Park nonostante il problema fosse ben più vasto e complesso da analizzare rispetto ad una “semplice” protesta ambientalista. Allo stesso modo le manifestazioni di “You Stink”, nate per il mancato smaltimento dei rifiuti, sembra possano contenere molte più variabili rispetto a quelle percepibili a prima vista. Nel contesto libanese, però, l’interdipendenza tra dinamiche interne ed internazionali potrebbe svolgere un ruolo determinante nell’evoluzione successiva della questione.

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