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26/06/2015

Yemen - Isis vs. al Qaeda: obiettivi diversi, strategie rivali

di Chiara Cruciati

Lo Yemen è terreno di molteplici guerre interne, regionali e globali: tra Iran e Arabia Saudita, tra movimento Houthi e governo ufficiale, tra tribù sunnite e ribelli sciiti. E tra Isis e al Qaeda: dopo il grande “tradimento” da parte di al-Baghdadi del padre al-Zawahiri, la proclamazione del califfato tra Siria e Iraq e l’aperta rivalità in Siria tra Isis e al-Nusra (braccio siriano di al Qaeda), lo scontro diretto si è spostato nel martoriato paese del Golfo.

Con l’avanzata del movimento Houthi in Yemen, cominciata a settembre con l’occupazione della capitale Sana’a (a seguito del rifiuto del governo centrale di aprire alle legittime richieste sciite di maggiore inclusione nella gestione del potere), al Qaeda nella Penisola Arabica – il più potente e strutturato braccio qaedista nella regione – ha subito approfittato della guerra civile in corso e della conseguente assenza dello Stato.

In pochi mesi il gruppo ha assunto il quasi totale controllo di Hadramaut, la più grande provincia yemenita, regione storica del paese nonché area ricca di petrolio, e del suo capoluogo Mukalla. Per garantire la posizione conquistata, al Qaeda ha sviluppato una nuova strategia che allo strumento militare affianca quello amministrativo e politico: ponendosi come forza anti-sciita e definendosi letteralmente come “resistenza popolare”, ha in breve attirato le simpatie di parte delle tribù sunnite, stringendo alleanze strategiche con leader tribali e clan sunniti, arrivando a creare un vero e proprio corpo di polizia a difesa dei civili sunniti in chiave anti-Houthi.

Mostrandosi come il solo potere in grado di difendere la provincia dall’avanzata Houthi, che da Sana’a sono riusciti con successo a spostarsi verso sud, occupando anche la capitale provvisoria Aden, al Qaeda ha convinto non poche tribù ad appoggiarsi ai propri miliziani: così, in breve tempo, i qaedisti sono liberamente entrati in molte città e in molti villaggi a est, ottenuto abitazioni dove risiedere e piena libertà di movimento. Prendiamo Mukalla, capoluogo provinciale: dopo la presa della città a metà aprile, Aqap ha creato un Consiglio Locale, formato da propri leader e da rappresentanti delle tribù. Il 10 maggio, in un comunicato ufficiale, Aqap ha dichiarato che l’obiettivo del Consiglio “non è quello di imporre il proprio controllo sul territorio, ma di governarlo nell’interesse delle tribù”.

In pochi giorni al Qaeda ha introdotto nuove misure amministrative, creando uno Stato parallelo nella provincia e puntando ad un bottino ben più ricco: infiltrarsi nei consigli tribali in altre province sunnite, da Lahij a Marib, e quindi mettere le mani sulle risorse naturali ed energetiche yemenite. Un modello noto agli osservatori esterni e che ricorda da vicino la strategia amministrativa imposta dallo Stato Islamico nelle comunità occupate tra Siria e Iraq, da Raqqa a Mosul.

Con una differenza, però, essenziale: la radicalizzazione della popolazione locale, nella visione qaedista, passa per la contrapposizione con il nemico sciita, gli Houthi, e non per l’imposizione coercitiva della Sharia né per le violenze barbare e le punizioni terribili contro chiunque sia considerato un apostata, sunnita o sciita che sia. L’affiliazione al radicalismo di Aqap si fonda, cioè, sul lavoro comune con i governi locali per mantenere il controllo del territorio piuttosto che il mero controllo di aree in cui operare militarmente. A monte sta la chiara differenza nella visione del futuro: se al Qaeda intende essere parte della società locale ed esercitare su di essa la propria autorità, lo Stato Islamico (che pretende di rappresentare l’antico modello del califfato) intende costruirne una del tutto nuova, modellata sull’interpretazione personale ed estremista dell’Islam.

E se in Siria – attraverso il Fronte al-Nusra – al Qaeda lo fa tentando di mostrarsi come forza di opposizione credibile al presidente Assad e come unica alternativa all’instabilità del paese, in Yemen l’obiettivo è quello di proteggere la posizione di autorità assunta negli anni in Yemen, impedendo alla feroce ma efficace propaganda dello Stato Islamico di occupare gli spazi qaedisti e alienargli l’appoggio di gruppi militari locali. Dopo i primi attacchi dell’Isis nel paese – lo scorso novembre – alcuni hanno giurato fedeltà al califfo.

Palese è la differenza di strategia militare: attraverso gli attacchi diretti agli Houthi e le stragi compiute da marzo ad oggi, a seguito di attentati contro moschee sciite, l’Isis – presente ancora solo con cellule di piccole dimensioni e gruppi di simpatizzanti, riconducibili solo in parte al califfato – non intende tanto destabilizzare un paese già devastato, quanto mettere in discussione il ruolo di al Qaeda.

“Gli annunci di al Qaeda e gli attacchi dell’Isis sono una chiara indicazione della competizione in corso in Yemen – spiega su Middle East Eye il giornalista Nasser al-Sakkaf – I due gruppi si contendono nuovi sostenitori prendendo di mira gli Houthi. Le bombe Isis contro le moschee sono un atto contrario alla politica di Aqap. Ma ci sono dei membri di al Qaeda che sostengono la strategia dell’Isis”. 

La sostengono e la rendono concreta, iniziando a compiere atti individuali o di gruppo, grazie – in alcuni casi – al contatto diretto con membri dell’Isis all’estero, ma non con la leadership del movimento. I luoghi, però, sono diversi: se al Qaeda si radica a sud, i gruppi riconducibili all’Isis operano per lo più a nord, in particolare nella capitale Sana’a

Se la faida interna all’estremismo islamico sunnita produce i suoi devastanti effetti principalmente sulla popolazione civile, a finire sul banco degli imputati della radicalizzazione sono i poteri regionali e globali, chiaramente incapaci e colpevolmente responsabili della crescita repentina e incontrollata dei due gruppi. Ad oggi la coalizione anti-Houthi guidata da Riyadh e dal Cairo non appare affatto interessata a colpire i qaedisti, diventati indirettamente alleati sul campo di battaglia perché impegnati a combattere i ribelli Houthi.

Alla finestra restano gli Stati Uniti che per anni hanno elogiato il modello yemenita di guerra al terrore, ovvero la guerra dei droni, il conflitto a distanza, che oggi mostra tutti i suoi limiti.

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