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27/06/2015

Tsipras chiama al referendum sui diktat della Troika

Il governo greco rifiuta le imposizioni della Troika. E rimette la decisione finale al popolo, chiamato a decidere con un referendum già domenica prossima, 5 luglio.

Dopo mezzanotte, al termine dell'ennesima giornata di negoziato tra un gruppo di sordi deciso a schiacciare la resistenza di un governo non allineato alla mediocrità democristiana di tutta l'Unione Europea, Alexis Tsipras ha fatto l'annuncio che apre davvero le porte a qualsiasi soluzione. Ma riafferma nella pratica il principio fondamentale che soltanto a parole la masnada di servi del capitale multinazionale omaggia ogni giorno: in democrazia è il popolo che decide. Il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, in piena notte, ha sfoderato tutta l'ironia di cui si può esser capaci in questa situazione e davanti a certi personaggi: "Buffo quanto suoni radicale il concetto che sia il popolo a decidere".



Tsipras è apparso alla televisione Ert (quella pubblica, appena riaperta “disobbedendo” a un altro specifico diktat della Troika, che ne aveva “consigliato” la chiusura al governo precedente, guidato dal conservatore Samaras), per dire che si voterà la prossima domenica in merito all'ultimatum posto dall'Eurogruppo. Un insieme di indicazioni del tutto in linea con il vecchio “memorandum”, definito dal giovane premier un ultimatum alla Grecia contro i valori europei, cui «siamo obbligati a rispondere sentendo la volontà del popolo sovrano». Una decisione che accompagna un giudizio assolutamente negativo sui cosiddetti partner continentali: "Ci hanno chiesto di accettare pesi insopportabili che avrebbero aggravato la situazione del mercato del lavoro e aumentato le tasse". Nelle parole di Tsipras, "l'obiettivo di alcuni dei partner europei e l'umiliazione dell'intero popolo greco. In realtà è la solita ricetta di austerità fatta di aumento delle imposte dirette e indirette, tagli alle spese con effetti ovviamente recessivi come è avvenuto negli ultimi cinque anni". L'esatto opposto del programma elettorale di Syriza, peraltro già "purgato" degli elementi più "rivoluzionari" agli occhi dei partner europei.

Il bello è che "il negoziato" ufficialmente continua. Oggi alle 14 si terrà un'altra riunione dell'Eurogruppo. Anche se la riunione di ieri sera si era conclusa senza che le parti si fossero avvicinate di un passo. Sembra più che evidente che i rappresentanti della Troika non abbiano mai, nemmeno per ipotesi, preso in considerazione altra soluzione diversa dai propri diktat. Ciò è stato particolarmente chiaro quando Tsipras, pur avendo accettato - in modo decisamente suicida - l'entità del saldo attivo da riservare alla riduzione del debito (8 miliardi), si è visto respingere in blocco le singole soluzioni che puntavano a far pagare un costo anche alle classi medio alte e alle imprese che possono vantare profitti superiori al mezzo milione l'anno. Un trattamento mai riservato a nessun governo alle prese con lo stesso problema.

Angela Merkel è alla fine "scesa in campo", dopo aver per settimane lasciato che fosse Schaeuble (e Weidmann, dentro la Bce) a tirare la corda che doveva strozzare la Grecia. Era convinta che fosse giunto il momento di poter chiudere e intestarsi il "successo" contro quel governo riottoso, spurio, riformista sul serio e anche parecchio ingenuo. E' intervenuta spiegando che non esistono "piani B" (per quanto assurdo sia), che i ministri finanziari avrebbero potuto prolungare la discussione anche tutto oggi e domani; ma che si sarebbe dovuto comunque arrivare a una decisione entro la riapertura dei mercati, lunedì mattina.

Anche lei ha sbattuto contro il muro bizantino di un gruppo di governanti che è costretto a comportarsi come una "delegazione", che dunque deve rispettare un mandato e verificare se qualcosa si può fare oppure no. Insomma un governo agli antipodi dal renziano "ascoltiamo tutti, ma decidiamo noi". Il passaggio del referendum si spiega anche così, oltre che - come è ovvio - come condivisione di ogni dura conseguenza che deriverà dalla decisione finale: accettare i diktat significa aggravare la recessione e non vedere mai luce, rompere e fare default comporta invece una forte caduta nell'immediato e una possibilità - non una certezza - di ripresa nel medio periodo. Naturalmente cambiando anche diversi partner commerciali e/o finanziari.

L'ultimatum della Troika - stando alle indiscrezioni - prevede il prolungamento dell'attuale programma di "aiuti" per cinque mesi, per un totale di 12 miliardi di euro di cui 1,8 miliardi subito - subordinato ovviamente al via libera del parlamento ellenico - in cambio di una lunghissima serie d'impegni assolutamente intollerabili per un'economia disastrata dai precedenti interventi di taglio della spesa.

Il tutto, solo per fare in tempo a restituire 1,6 miliardi al Fondo Monetario Internazionale (entro martedì). Non c'è bisogno di essere grandi economisti per capire che dal lato dei "creditori" si tratta solo di una partita di giro (ti dò 1,8 miliardi così tu me restituisci 1,6), mentre dal lato greco si tratta di interventi reali, a perdere.

Oltretutto non c'è neanche una garanzia che l'esborso avvenga davvero, perché prima devono pronunciarsi quattro parlamenti nazionali (Germania, Estonia, Olanda e Finlandia), che evidentemente hanno qualche diritto in più di Francia, Italia, ecc.

I punti dolenti sono sempre gli stessi: la Troika vuole tagli alle pensioni, aumento immediato dell'età pensionabile a 67 anni per tutti, aumento dell'Iva (e quindi dei prezzi) anche sui generi di prima necessità (come i farmaci, attualmente con Iva al 6,5%), abolizione delle residue tutele contrattuali dei lavoratori (già pesantemente smantellate da Samaras e Papandreou), privatizzazioni di tutto quel poco che è rimasto in mano allo Stato.

A parte gli "aiuti finanziari" necessari a ripagare qualche rata di debito, però, "i creditori" non offrono nulla. E non vogliono neppure sentir parlare di "ristrutturazione" del debito - una sostanziale riduzione - pur sapendo che Atene, con qualsiasi governo, foss'anche fatto premier Schaeuble, non potrebbe mai ripagare quel mostruoso 180% rispetto al Pil prodotto dai precedenti diktat (si era partiti dal 125%).

Persino il segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew, ha consigliato ai creditori di mostrarsi flessibili e prendere in considerazione una ristrutturazione del debito di Atene. Al di qua dell'Atlantico però sono restii sia i creditori veri (come la Germania), sia i governi di destra dei paesi Piigs che hanno già massacrato i propri pooli e ora non vogliono "sconti alla Grecia" per paura di perdere le prossime elezioni (Spagna, Portogallo, Irlanda).

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