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26/06/2015

Nella scuola come nel paese, Renzi barcolla a colpi di decreto

Sulla questione scuola, e sul ricorso alla fiducia da parte del governo, ci sono almeno due punti da evidenziare. Uno riguarda direttamente l’organizzazione della scuola e la questione dell’assunzione dei docenti. L’altro, a partire dall’identità di uno dei veri sponsor della riforma, tocca una serie di importanti nodi politici.

Sul primo punto, quello riguardante l’organizzazione della scuola, invitiamo a seguire gli aggiornamenti su Orizzonte Scuola visto anche che, al momento in cui scriviamo, sono ancora possibili modifiche dell’ultimo minuto. Di sostanza, che riguardano sia la data di applicazione del nucleo duro della riforma, che l’organizzazione della scuola.

Al momento sembra proprio che sia realtà, per quanto slittata di un anno, la chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi, pietra tombale su qualsiasi reale relazione sindacale e didattica all’interno della scuola. A nostro avviso si farà sentire, in maniera più forte, anche il ruolo dei nuovi presidi nella discrezionalità del salario oggi più importante per i docenti: quello accessorio. Sono poi previste donazioni dai privati alle scuola fino 100.000 euro per soggetto, tetto facilmente aggirabile, e un piccolo fondo per le scuole che ricevono meno donazioni.

Si vogliono porre le condizioni materiali per spaccare il sistema scolastico di base: poche punte di eccellenza da a una parte, una corpaccione che sopravvive appena e poi una serie di isole di disperazione. Più o meno quanto accaduto, nel medio periodo, con la riforma Berlinguer all’università italiana. Del resto la relatrice in commissione al senato degli emendamenti renziani, la senatrice Puglisi del PD, è un esperto di comunicazione. Deve solo trovare il modo di fare un po' di marketing, e magari di merchandising, sulle macerie della scuola e non occuparsi del significato sistemico, non solo per la scuola ma per l’intera società, di un sistema educativo ridotto a frammenti.

Oltretutto l'Anief fa sapere che, se le cose rimangono così, sono 70mila i precari pronti a ricorrere in tribunale: "Se il testo dovesse rimanere immutato – afferma il sindacato in una nota – rimarranno fuori tutti gli insegnanti che hanno frequentato i corsi di abilitazione Pas o i Tfa, oltre a coloro che hanno conseguito il titolo all'estero e in Scienze della formazione primaria dopo il 2011". Questa vicenda, che riguarda decine di migliaia di persone (un’esclusione di massa drammatica in una recessione come questa) la si può trovare sintetizzata qui.

In sintesi la buona scuola di Renzi è un corpo di provvedimenti senza alcun respiro strategico – ripete formule sulla scuola di fine anni ’90 nella speranza che funzionino dal punto di vista del marketing – fatto di quanti più respingimenti di precari possibili, di una organizzazione del lavoro gerarchica e vecchia, soprattutto attenta a risparmiare risorse. Non c’è una riflessione seria, a parte le battute buone per gli studi televisivi (ormai vecchiotte pero’...), sul ruolo del lavoro e della conoscenza, e della scuola come fattore di coesione sociale negli scenari sociali che abbiamo davanti.

La buona scuola di Renzi parla infatti di un lavoro che non c’è e non ci sarà, di studenti che non esistono e di docenti immaginari. Perché il vero nucleo materiale è un altro: privatizzare quanto possibile, anche se la vera polpa è poca, e fare politica di bilancio, di nuovo dopo la Gelmini, sulla scuola. Altro che capire la società: per Renzi c’è da capire quanto vuole risparmiare il MEF, il ministero dell’economia, dalla scuola. E, dietro il MEF, ci sono le richieste di Bruxelles. Poi il marketing è lo stesso orwelliano: si licenziano i precari parlando di nuove assunzioni; si cerca di trasformare i docenti in terminali di ordini senza senso e si parla di favorire il merito; si preparano i tagli parlando di nuovi investimenti.

Del resto Renzi è questo: fino a pochi giorni fa parlava di Stati generali della scuola da farsi a luglio, come se fosse un processo che si attiva con lo schioccare delle dita, mentre in queste ore la riforma della scuola sembra volersela fare da solo, per decreto. Più che di decisionismo si tratta di un modo di procedere barcollante, con dei decreti fatti per dare l’impressione di saper imprimere accelerazioni. In verità, dalla flessibilità sul bilancio da parte di Bruxelles alle risorse per avviare politiche economiche di rilancio (o attirare investimenti), Renzi ha ottenuto poco a parte quello che dice la tv (vero mondo del renzismo reale).

Qualche settimana fa, un giornalista greco si è lasciato scappare una battuta, a SKY tg economia: “lo sanno tutti che la riforma italiana della scuola la vuole Bruxelles”. Imbarazzo in studio. Del resto il sistema educativo italiano, giusto per farsi affossare da chi in Europa vuole il primato nell’economia della conoscenza, non è mai stato un tradizionale bastione difeso dalla politica istituzionale. Giusto, invece, un territorio buono solo per i tagli. Per la retorica del “la scuola non può essere un ammortizzatore sociale”. E così, oltre a tagliare gli ammortizzatori sociali, per non far torto a nessuno, Renzi alla fine riduce anche i fondi per la scuola, dicendo parole contraddittorie, barcollando politicamente di fronte a mille problemi, come la questione migranti.

Ma finché ci sono un Angelino Alfano e un Denis Verdini a soccorso, la marcia prosegue. Verso dove non è dato saperlo e non lo sa nemmeno il marciatore in testa al plotone. D’altronde un'antichissima canzone recitava “Si marcia già in questa santa pace con la divisa della festa. Senza nemici né scarponi e soprattutto senza testa”. E il testo, dedicata alla socialdemocrazia autoritaria, antenata del renzismo, si adatta bene a questo liberismo macaroni del presidente del consiglio: chiassoso, festoso che vede alla propria assenza di prospettive come ad una polizza di assicurazione sulla propria sopravvivenza politica. Si faccia caso a quante volte i renziani dicono o scrivono “ma almeno così si muove qualcosa”, “ un passo avanti”. Il solito minimalismo politico che nasconde la sopravvivenza politica a colpi di decreti e di voti di fiducia. Finché il gioco rende qualcosa.

Redazione, 25 giugno 2015

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