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28/06/2015

L'Eurogruppo caccia la Grecia e cerca il "piano B"

Benvenuti in “terra incognita”. Le facce stravolte di Jeroen Dijsselbloem e degli altri componenti dell'Eurogruppo (i ministri delle finanze della zona euro) ieri sera la dicevano molto più del comunicato finale. Firmato da 18 ministri, ma non dal greco Yanis Varoufakis. Ad Atene, nello stesso momento, Alexis Tsipras riuniva il governo per discutere delle misure d'emergenza da prendere prima che i mercati e le banche riaprano, lunedì mattina.

Il Parlamento di Atene ha approvato la proposta del governo a proposito del referendum con con 179 sì e 120 no. Contrari i conservatori di Samas e gli “europeisti complici” di To Potami e Pasok. Da sottolineare il taglio del discorso con cui il premier greco ha presentato il referendum, usando le stesse parole con cui la Grecia rifiutò “l'offerta” di Mussolini nel 1940: "Amiamo la pace, ma quando ci dichiarano guerra siamo capaci di combattere e vincere".

Il riferimento è tutt'altro che secondario, nella storia e nella memoria collettiva dei greci. Ogni 28 ottobre il paese celebra il "Giorno del No" per ricordare il 28 ottobre 1940, quando l'ambasciatore fascista italiano ad Atene (tal Emanuele Grazzi) presentò l'ultimatum per intimare di lasciare libero accesso alle forze dell'Asse. Il primo ministro d'allora, Ioannis Metaxas, rispose usando una sola parola: "No". Quella Grecia antifascista è dunque esplicitamente chiamata a compattarsi contro il nuovo "invasore", anche se usa i mezzi finanziari invece che i carri armati.

Radicale, naturalmente, la critica di Tsipras ai presunti "partner" europei:  "Sostenevano che alzare le tasse era una misura recessiva, poi ci chiedevano di tagliare pensioni e stipendi. Pretendevano che aumentassimo del 13,5% l'Iva sugli hotel, tanto valeva dire direttamente che è vietato fare turismo qui da noi". E quindi: "Dobbiamo garantire il referendum alla nostra gente per consentirle di vivere con speranza e di non fare della Grecia un paese schiavo del debito per i prossimi venti anni". E comunque: “Come si può immaginare che la democrazia europea non consenta al popolo greco di esprimersi e decidere sui contenuti di un accordo così importante per il proprio destino?”.  In realtà, è proprio la democrazia il "lusso" che questa Unione Europea non sembra volersi più permettere...

Il primo sondaggio, eseguito da Kappa Research, dà il rifiuto del diktat al 47,2%, gli "arresi" al 33% e gli indecisi al 18,4%.

Nessuno sa che cosa sia giusto fare, a questo punto. Quella massa di funzionari abituati a muoversi, ragionare, minacciare o patteggiare entro il cerchio chiuso di regole e trattati, è ora senza bussola e senza piani di battaglia affidabili. Il sistema delle regole europee è stato presentato per quasi venti anni come la soluzione finale ai problemi economici, di integrazione, di coesione, tutto vi era teoricamente previsto. Meno che qualcuno potesse dire “questa regola mi ammazza, non posso rispettarla”. Ora si sono chiusi dentro il loro palazzo per cercare di tracciare all'ultimo momento quel "piano B" che nessuno prima voleva prendere nemmeno in considerazione.

La reazione dei funzionari alla proclamazione di un referendum per domenica prossima, in Grecia, per accettare o meno i diktat della Troika, è stata così isterica e autolesionista. L'Eurogruppo ha rifiutato l'ultima proposta ellenica: prorogare il piano di aiuti fino a domenica prossima (5 luglio) e la restituzione degli 1,9 miliardi di euro di interessi che la Bce ha maturato sui bond greci detenuti così da poter rimborsare l'istituto di Washington.

Tutto si concluderà dunque alla scadenza già fissata, martedì 30 giugno. Dopo di che si metterà in moto una valanga di conseguenze che nessuno è più in grado di controllare o gestire, tanto meno i burocrati rimasti senza bussola.

Basti pensare alle parole usate da Dijsselbloem nel giustificare questo rifiuto: “anche se i greci dicessero sì alle nostre proposte, comunque non avremmo nessuna garanzia che le riforme strutturali siano realizzate”. In pratica, ha dato argomenti indubitabili a favore dell'uscita di Atene dalla Ue. Gente come lui “si fida” soltanto di gente ammessa negli stessi circoli, obbediente agli stessi interesse o gruppi di pressione. Che un popolo venga chiamato a decidere del proprio futuro è qualcosa che gli appare un orrore; e comunque “fuori dalle regole”.

A questo punto salterà certamente il pagamento della rata al Fondo Monetario Internazionale (1,6 miliardi da pagare entro martedì). E da quel momento ogni giorno sarà buono per ufficializzare il default della Grecia. Tecnicamente, infatti, il fallimento viene certificato dal creditore che non si vede restituire i soli alla scadenza fissata. Ma qui scattano già le prime due conseguenze.

“I mercati” non hanno bisogno della certificazione tecnica del default per cominciare a muoversi come se fosse già stato dichiarato (“anticipano le tendenze”, si usa dire). Ragione per cui da domattina si scaglieranno con particolare violenza sia sui resti della esausta Grecia che sul molto più succulento tavolo dei paesi dell'Unione.

In secondo luogo, gli oltre 240 miliardi dovuti da Atene agli altri membri della Troika (Ue, Bce, Fmi) sono ormai carta straccia, crediti inesigibili che graveranno sui conti dei singoli paesi dell'Unione. Ricordiamo sempre che questa è la conseguenza della scelta fatta sei anni fa soprattutto da Parigi, Londra e Berlino: con il “memorandum” e il primo piano di “aiuti” hanno di fatto trasformato il debito di Atene verso banche private (soprattutto francesi e tedesche) in debito verso i paesi. Ovvero hanno “socializzato” le perdite delle banche private facendo finta di prestare soldi alla Grecia che doveva immediatamente rigirarli alle banche. Ricordiamocene, quando Renzi o chi per lui ci verrà a dire che bisogna tagliare le pensioni, la sanità e comunque la spesa pubblica “per colpa” della Grecia.

In queste ore, comunque, sia ad Atene che a Francoforte, si sta lavorando per creare qualche salvagente. Il vicepremier ellenico, Yanis Dragasakis, e il portavoce del governo di Atene per gli affari economici, Euclid Tsakalatos, per esempio, hanno comunicato che continueranno "a lavorare a stretto contatto con la Bce e la Banca di Grecia per la stabilità del sistema bancario del Paese".

Dal canto suo, Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea si riunisce oggi (in teleconferenza, forse) per decidere il da farsi sulle quattro grandi banche della Grecia sulle quali ha il potere di vigilanza (Alpha Bank, Banca del Pireo, Banca Nazionale di Grecia e Eurobank).

In teoria, sia l'Eurogruppo che il governo ellenico lasciano la porta aperta alla ripresa del negoziato. Ma lo spazio fisico sembra davvero inesistente. Tsipras, spiega qualcuno, pensa ancora che una vittoria nel referendum gli conferirebbe un maggior peso negoziale con la Troika.

Più probabilmente, soltanto una schiacciante quanto improbabile vittoria del “partito dei sacrifici” nel referendum potrebbe far riaprire la trattativa. Naturalmente con un altro governo ad Atene...

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