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30/06/2015

La resistenza delle classi popolari greche: filiere corte e solidarietà

Mentre a Bruxelles e nelle sale dei palazzi si discuteva ancora per trovare una soluzione alla crisi greca, mentre ci si divideva tra chi vorrebbe la Grecia fuori dalla fortezza Europa e chi invece non crede che un alternativa al di fuori del polo europeo sia possibile, sempre più persone si trovano esauste, messe nella condizione di non riuscire a far fronte ai bisogni primari, come l'accesso al cibo, alle cure sanitarie, a una condizione minima di welfare sociale.

Nonostante il governo Tsipras abbia fatto dei passi in avanti per rispondere alle esigenze delle classi popolari greche, il sentore comune è che questo non sia abbastanza, perché il livello minimo di sopravvivenza molte volte non è garantito.

Molti sostengono che la Grecia, fuori dall'eurozona,  cadrà in un baratro ancora più profondo di quanto non sia oggi.

I mainstream si dividono tra chi categoricamente difende la posizione del “non esiste un alternativa a tutto ciò” e chi immagina e aspetta di vedere ciò che succederà domani e il 5 luglio.

Una cosa è certa, ed è la base su cui la Grecia è probabilmente sopravvissuta durante gli ultimi 5 anni. Un'esperienza fatta di comitati di quartiere, più o meno scettici nei confronti del governo Syriza, che hanno messo in piedi una vera e propria rete di solidarietà di base tra le fasce popolari del Paese.

“Abbiamo organizzato dei mercati popolari” racconta  uno dei tanti compagni più o meno fiduciosi nei confronti di Tsipras, che di fronte alla crisi, hanno guidato e gestito la nascita di diversi comitati popolari in Atene e in altre città del Paese, fondate sulla solidarietà collettiva tra le fasce popolari: “mettiamo in relazione i produttori di beni primari direttamente con le fasce popolari, che maggiormente soffrono gli effetti delle politiche di austerity”.

Succede in molti quartieri di Atene, come in altre città del Paese. Gli agricoltori vendono a prezzi davvero popolari, saltando tutti gli intermediari della filiera, alcune esperienze di autogestione delle fabbriche vendono saponi e altri prodotti, volontari mettono al servizio della gente le proprie competenze sul piano sanitario e medico.” È questo un modo per far fronte alla crisi, in modo collettivo e di classe. Ed è questa probabilmente la base su cui si è retta e si reggerà la sopravvivenza delle classi popolari greche, al di la dei risultati del referendum del 5 luglio.

Si tratta di veri e propri mercati popolari, organizzati li dove esiste e si crea la consapevolezza di poter produrre circuiti alternativi e popolari di resistenza, in cui produttori e consumatori si incontrano, e mettono in essere un meccanismo virtuoso di filiera corta, a prezzi davvero popolari. Un meccanismo collettivo per far fronte alla crisi, che crea rete, relazioni, aggregazione. 

Non si tratta tanto di un circuito alternativo al mercato globale, in cui la filiera corta e la salubrità dei prodotti viene garantita tramite la certificazione dei prodotti a Km 0, come succede nella maggior parte dei casi conosciuti in Italia (tramite i mercatini biologici o molte filiere a Km 0), ma dell'istituzione di una vera filiera corta di prodotti locali, venduti a prezzi popolari, e non a prezzi di mercato, a chi è rimasto immagato dalla retorica della green economy e della sostenibilità dell’agricoltura.

I mercati di quartiere, in cui molti attivisti e militanti sono impegnati, hanno organizzato una rete di relazioni che probabilmente rappresenterà una prima soluzione di base per far fronte al periodo nero che la Grecia si appresta a vivere, qualsiasi sia l'esito del referendum del 5 luglio. Un punto di accumulo e di aggregazione fondamentale, che mostra essenzialmente che un’alternativa è possibile, perché tessendo relazioni sul territorio si rafforza la capacità di resistenza di un popolo alle politiche di austerità, svuotando in parte l'idea che al di fuori del sistema di scambi attuale non ci possa essere vita né prosperità.

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