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29/06/2015

Juncker incita a rovesciare il governo greco

L'oscar per la faccia di teflon andrà sicuramente al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Con una conferenza stampa è intervenuto per invitare il popolo greco a votare "sì", domenica prossima, al pacchetto di diktat preparato dalla Troika e che il governo Tsipras non ha voluto accettare.

Fin qui saremmo ancora nella normalità: è logico e anche corretto che il presidente della comunità di stati presenti la propria visione della "proposta" su cui i greci sono stati chiamati ad esprimersi, anche se lui e gli atri partner hanno considerato un'offesa personale il ricorso di Tsipras alla volontà popolare.

Ma l'ha fatto mentendo su ogni singolo punto e nell'insieme. Il suo discorsetto ha seguito un solo filo: "noi avremmo voluto aiutare il popolo greco a risollevarsi dall'abisso, avevamo preparato proposte generose, eque, razionali e trasparenti, avremmo voluto prestarvi ancora altri soldi... purtroppo il governo guidato da Tsipras ha tenuto il popolo all'oscuro, 'tradito' noi delle 'istituzioni' e inspiegabilmente ha abbandonato le trattative". E addirittura: «Consigliamo al governo greco di dire la verità» e «quale posta è in gioco».

E addirittura: "le istituzioni" non hanno mai posto un «ultimatum» alla Grecia, anzi, avrebbe «esplorato tutte le possibilità, nell’interesse della popolazione greca». Così, per puro affetto, senza volerci guadagnare nulla...

Un passaggio forse può chiarire il tono. Quando ha detto "mi chiedo cosa sa il popolo greco di quel che stavamo offrendo", deve essere esplosa davanti agli occhi di ogni cittadino di quel paese l'immagine della disperazione in cui tutti (quasi tutti) gli abitanti sono stati gettati dopo quasi sei anni di "trattamento" da parte della Troika. Se c'è infatti qualcosa che i greci sanno meglio di tutti è che dove la Troika ha messo le mani sono avvenuti solo disastri inenarrabili.

Parla per tutti il debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo (vedi il grafico): le misure della Troika dovevano servire a ridurlo, tagliando costi e spese, ma lo hanno aumentato a dismisura - dal 125 al 180% - precipitando il paese nella voragine da cui non può più uscire, se accetta di restare all'interno del recinto delle "regole" della Ue.

Incurante di tutto, Juncker ha tirato dritto nella gestione del romanzetto criminale che si era preparato, tutto finalizzato a dipingere le "istituzioni" come i "buoni" e il governo greco come un gruppo di alieni cattivi che fanno cose inspiegabili. E in effetti dovrebbe far riflettere la sortita di un vecchio scaldasedie democristiano che si dice «rattristato e rammaricato dallo spettacolo di sabato», quando «i giochi tattici, a volte populisti, hanno avuto la meglio».

L'intento, emerso involontariamente da una domanda a cui non ha risposto, parlando d'altro ("se anche vinceranno i sì, quanto è cedibile per voi il governo Tsipras?"), è quello di incitare i greci a liberarsi di questo governo e darsene uno più obbediente ai diktat. Insomma, come quelli che negli ultimi sei anno hanno fatto crollare la ricchezza prodotta annualmente dal paese di oltre il 25%

Se qualcuno si attendeva un invito a tornare al tavolo del negoziato aveva sbagliato previsione; «non c’è bisogno di fare nessuna nuova proposta». Questa Unione Europea non ammette errori, nega persino quel che scrive nero su bianco ("non abbiamo chiesto di tagliare le pensioni", ha detto; ma basta leggersi il loro documento a pagine 3, punto 4 - Pension reform - per vedere il contrario), non può costitutivamente "correggersi" o "riformarsi". La sua logica è esterna alle relazioni sociali tipiche della democrazia liberale.

In definitiva: Juncker ha messo in scena un atto di guerra. La Grecia non avrà pace se non cambia governo.

Se qualcuno si sta chiedendo quanto sia attendibile ed onesto il signor Juncker, consigliamo la lettura di questo articolo - scelto tra tanti dello stesso tenore - pubblicato alcuni mesi fa dal giornale di Confindustria, IlSole24Ore. Se "puzza" perfino a loro...

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Lussemburgo, i 550 «favori» alle multinazionali che imbarazzano Juncker

di Beda Romano

BRUXELLES – Documenti riservati, pubblicati da un consorzio di giornali, hanno rivelato oggi giovedì 6 novembre che il Granducato del Lussemburgo ha concesso negli ultimi 10 anni generosi accordi fiscali a una lunga lista di multinazionali. In un momento di ristrettezze finanziarie e crisi economica, la vicenda rischia di provocare clamore, e soprattutto di gettare una ombra sul nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, primo ministro del piccolo paese dal 1995 al 2013.

Il consorzio internazionale di giornalisti d'inchiesta, un organismo con sede negli Stati Uniti, ha avuto accesso a 28mila pagine di documenti riservati dai quali risultano intese fiscali attraverso le quali aziende internazionali hanno trasferito denaro nel Granducato per pagare meno imposte. «In alcuni casi, i documenti mostrano che le società hanno pagato sui profitti trasferiti in Lussemburgo una aliquota inferiore all'1%», si legge nell'inchiesta pubblicata stamani.

Sotto la luce dei riflettori sono circa 550 accordi fiscali, per la maggior parte relativi ad aziende clienti di PwC, la società di consulenza. Le intese risalgono al periodo tra il 2002 e il 2010. I giornali che pubblicano l'inchiesta sottolineano che gli accordi sono perfettamente legali, ma evidentemente controversi. La vicenda giunge mentre qualche settimana fa la Commissione ha aperto una inchiesta contro il Lussemburgo per illegittimi aiuti di stato a favore di Fiat e di Amazon.

Interpellato ieri, prima della pubblicazione degli articoli, Juncker non ha voluto prendere posizione. «Non bloccherò» l'indagine, attualmente in mano alla nuova commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager. «Sarebbe inaccettabile». E ha aggiunto: «Ho alcune idee sulla questione, ma le terrò per me». Nei suoi anni alla guida del Granducato, Juncker ha trasformato il piccolo paese, ai tempi concentrato su agricoltura e siderurgia, in un centro finanziario e - secondo alcuni osservatori - in un paradiso fiscale.

Questa mattina, il portavoce della Commissione Margaritis Schiras, ha spiegato che è compito dell'esecutivo comunitario far rispettare le regole che vietano aiuti di stato tali da provocare distorsioni al mercato unico. «La Commissione sta già investigando su numerosi casi sospetti e continuerà a farlo nei prossimi cinque anni». Schiras ha insistito per porre la questione in termini di politiche comunitarie, evitando domande sulle responsabilità personali di Juncker. Quest'ultimo, ha detto il portavoce, è «sereno».

PwC ha reagito alla pubblicazione dell'inchiesta affermando che gli articoli si basano su informazioni «superate» e «rubate». Tra le società coinvolte vi sono Pepsi, IKEA, FedEx o Accenture. Interpellato dai giornalisti che hanno condotto l'inchiesta, Nicolas Mackel, dirigente di Luxembourg for Finance, una società para-pubblica, ha negato che gli accordi siano «generosi». E ha aggiunto: «Il Lussemburgo ha un sistema fiscale competitivo. Non c'è nulla di ingiusto o immorale».

Arrivano anche le prime reazioni politiche. «La credibilità di Jean Claude Juncker come nuovo presidente della Commissione europea è in gioco - ha affermato in una nota il capogruppo socialista del Parlamento europeo Gianni Pittella -Deve mostrare da che parte sta. È dalla parte dei cittadini o degli evasori fiscali delle aziende?».

Proprio domani, i ministri delle Finanze dell'Unione Europea si riuniranno qui a Bruxelles per discutere tra le altre cose di temi fiscali, un dossier che rimane di competenza nazionale. Sul tavolo anche una controversa tassa sulle transazioni finanziarie che 11 paesi della zona euro vorrebbero adottare (il Lussemburgo non è tra questi). Il Consorzio internazionale di giornalisti d'inchiesta raggruppa 185 giornalisti d'inchiesta in oltre 65 Paesi.

6 novembre 2014

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