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28/05/2015

Libano - Interventismo regionale e instabilità interna

di Francesca La Bella

Il Libano vive da molti mesi una condizione di instabilità causata da fattori sia interni che esterni. Da circa un anno nel Paese dei Cedri non c’è un Presidente della Repubblica a causa dei veti incrociati dei diversi attori politici e le conseguenze della guerra siriana si stanno riversando con forza sulla società e sull’economia libanese. In un Paese dove il bilanciamento delle cariche tra le diverse componenti etnico-religiose è stato centrale nella garanzia della stabilità e della sicurezza interna, la mancanza di accordo nell’elezione del Capo di Stato ha, di fatto, approfondito le linee di frattura già pre-esistenti nella società oltre a rallentare la messa in atto di politiche sociali ed economiche. A questo si sono, inoltre, sommati gli effetti della guerra civile nella vicina Siria e dell’avanzata dello Stato Islamico e di Jabhat Al Nusra nella stessa Siria ed in Iraq: flussi continui di profughi, recrudescenza degli scontri tra sciiti e sunniti anche sul territorio libanese, indebolimento dell’economia locale.

Da un lato si stima che sul suolo libanese siano accolti più di un milione di rifugiati, la maggior parte dei quali siriani, a fronte di una popolazione di circa 5 milioni di abitanti con le conseguenti necessità di assistenza primaria e le problematiche sociali di un così cospicuo afflusso di persone. La situazione è tale che a inizio maggio la Banca Mondiale ha dichiarato che verranno stanziati circa 20 milioni dollari a favore del Libano per far fronte alle necessità dei profughi. Dall’altra i risvolti economici e di sicurezza di una guerra civile alle porte sono rilevanti. Scontri di confine tra milizie contrapposte sono all’ordine del giorno e, in alcuni casi, si è assistito ad attentati anche all’interno del territorio libanese. Dal punto di vista economico, invece, il blocco istituzionale e l’emergenza alle porte hanno indotto un leggero peggioramento degli indici economici del Paese che ha contribuito a rafforzare la percezione di instabilità di alcuni settori sociali.

In questo contesto si inserisce il discorso pronunciato il 24 maggio da Hassan Nasrallah, Segretario Generale del movimento sciita libanese Hezbollah, durante le commemorazioni per i 15 anni dal ritiro di Israele dal territorio libanese. Prendendo spunto dall’esperienza di occupazione israeliana, il leader sciita ha sottolineato la necessità di resistere all’avanzata dello Stato Islamico cercando di creare un fronte unico formato da tutti i partiti della galassia politica libanese. Nasrallah ha, infatti, concentrato buona parte del suo discorso sulle scelte, a suo parere errate, di alcuni partiti libanesi che, durante l’occupazione israeliana del sud del Libano, scelsero un approccio collaborativo anziché conflittuale con l’occupante. Il riferimento storico, benché privo di diretti attacchi a singoli partiti, è sembrato funzionale a mettere sotto accusa quei movimenti e partiti che, ad oggi, osteggiano la scelta di Hezbollah di prendere parte attiva nella questione siriana.

Il Partito di Dio, infatti, da molti mesi ha scelto di impiegare uomini ed armamenti per combattere le milizie dell’IS e di al Nusra sia in Libano sia oltre confine. In questo senso le dichiarazioni dei giorni scorsi potrebbero sembrare una normale riproposizione di scelte già espresse e messe in atto, ma così non è. A lungo, infatti, Nasrallah è stato cauto nel promuovere le proprie attività al fianco del Presidente siriano Assad in funzione anti-islamista. Questo perché la questione dei rapporti tra Siria e Libano è da sempre, e in particolar modo a seguito dell’uccisione dell’ex Primo Ministro Rafiq Hariri nel 2005, foriera di problematiche di difficile soluzione in seno alla politica ed alla società libanese. Il posizionamento di Hezbollah nell’asse sciita con la famiglia al-Assad e l’Iran non è mai stato negato, ma la partecipazione attiva alla guerra civile siriana veniva considerata da molti una scelta azzardata che avrebbe potuto far tracimare i combattimenti in territorio libanese oltre a dare al Governo siriano la possibilità di aumentare la propria influenza nelle questione interne al Paese dei cedri.

Alla luce di tutto questo non stupisce l’alzata di scudi delle altre componenti politiche libanesi come il Movimento 14 marzo di Saad Hariri, figlio ed erede politico del defunto Rafiq. L’ex premier libanese avrebbe, infatti, accusato Nasrallah e il suo movimento di mettere in pericolo il proprio Paese, sacrificando la sovranità nazionale libanese e mandando i propri cittadini a combattere una guerra non loro. Una posizione che, pur basandosi su problematiche reali che potrebbero impattare negativamente sul contesto libanese, non considera le possibili conseguenze di una vittoria di Jabhat al Nusra e, soprattutto, dello Stato Islamico. La necessità e l’urgenza di agire racchiuse nelle parole pronunciate da Nasrallah nascono proprio dalla consapevolezza della forza di queste compagini e della pericolosità del progetto da loro portato avanti. La destabilizzazione di tutta l’area mediorientale e la capacità di mobilitazione del campo sunnita da parte dello Stato Islamico spaventa gli sciiti libanesi che, con l’esperienza siriana e irachena alle porte, temono un effetto contagio sul loro territorio.

Infine è necessario tenere conto della divisione insanabile tra Arabia Saudita ed Iran e delle sue ripercussioni sulle dinamiche interne del Paese dei cedri. L’attacco saudita allo Yemen, in questo senso, viene letto da Hezbollah come monito rispetto alla possibilità di avanzamento delle compagini sciite nell’area. Alla luce di tutto questo diventa evidente come la dichiarazione di intenti di Nasrallah possa esacerbare i dissidi interni e trasformarli in breve in una questione d’area con conseguenze di vasta portata.

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