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28/04/2015

L'imbroglio dei "bamboccioni"

Altro che "bamboccioni": i dati ISTAT mostrano che i posti vacanti disponibili sono paurosamente inferiori al numero delle persone in cerca di lavoro.

Negli ultimi anni si è fatta largo l'idea secondo cui gli italiani, in particolare i più giovani, non sarebbero propensi a cercare lavoro. Improbabili commentatori hanno preso spunto da singoli episodi di cronaca per sostenere la tesi dei disoccupati scansafatiche. Se fosse solo per questi opinionisti improvvisati, potremmo tranquillamente lasciarli blaterare di temi di cui nulla sanno.

Il problema è che anche influenti economisti, nel ruolo di ministri della Repubblica, hanno varie volte rimarcato la scarsa disponibilità degli italiani, specialmente dei più giovani, ad accettare le opportunità di lavoro che si presentano. Il ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa parlò in questo senso di “bamboccioni”. E la ministra del lavoro Elsa Fornero utilizzò l’appellativo di “choosy”, che in inglese sta per “schizzinosi”. Sulla scia dei due economisti che lo hanno preceduto, l'attuale ministro del lavoro Giuliano Poletti ha esortato gli studenti delle scuole superiori a cercare un'occupazione estiva, in modo da abituarsi subito all'ingresso nel mercato del lavoro.

Ora, che alcuni individui siano scarsamente propensi ad accettare un lavoro è facile da ammettere: ognuno di noi avrà conosciuto almeno un "bamboccione", in vita sua. Il problema, tuttavia, è capire se tali appellativi riescano a cogliere un comportamento rilevante a livello macroeconomico o se invece siano dei meri esempi di falsa coscienza, di un'ideologia fuorviante rispetto alla realtà dei fatti.

A tale scopo, è utile considerare il tasso dei posti di lavoro vacanti calcolato periodicamente dall’ISTAT con riferimento alle imprese industriali e di servizi con almeno 10 dipendenti. Questo tasso indica il numero di posti di lavoro disponibili diviso per il totale dei posti di lavoro, occupati e non. Nel 2014, per esempio, il tasso di posti vacanti è rimasto pressoché stabile intorno allo 0,5 percento. Peccando di ottimismo, possiamo assumere che il tasso di posti vacanti calcolato dall’ISTAT possa essere esteso a tutte le occupazioni, incluse le imprese con meno di 10 dipendenti e il settore pubblico. Considerato che nel 2014 l’occupazione in Italia è stata pari a 23 milioni 849 mila unità, e semplificando un po' il calcolo, possiamo approssimativamente ritenere che i posti vacanti totali in Italia siano stati all'incirca lo 0,5 percento di 23.849.000, cioè 119.245. Consideriamo adesso il totale dei disoccupati italiani: alla fine del 2014 erano 3 milioni 410 mila; tra questi, i giovani disoccupati nella fascia di età tra 15 e 24 anni erano 708 mila. Possiamo quindi affermare che nel 2014 il numero di posti di lavoro vacanti, in Italia, non deve aver superato di molto il 3,5 percento del totale dei disoccupati e il 16,8 percento del totale dei giovani disoccupati.

Dunque, al netto delle correzioni di questo semplice calcolo e volendo pure supporre che i disoccupati, specialmente i più giovani, avessero le qualifiche necessarie per svolgere le mansioni richieste, i dati mostrano che i posti vacanti disponibili sono paurosamente inferiori al numero delle persone in cerca di lavoro.

Del resto, l’idea che i giovani italiani siano “choosy” entra in contrasto anche con altre evidenze. La Banca d’Italia, per esempio, qualche tempo fa ha rilevato che i giovani laureati italiani tra 24 e 35 anni che hanno accettato lavori a bassa qualifica rispetto ai titoli di studio conseguiti sono il 40 percento del totale, contro appena il 18 percento in Germania.

Insomma, i dati evidenziano che a livello macroeconomico il problema della disoccupazione è in primo luogo un problema di pochi posti di lavoro esistenti. Imputarlo a una scarsa disponibilità a lavorare da parte degli italiani, in particolare dei più giovani, è semplicemente un imbroglio.

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