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24/04/2015

FBI, la fabbrica dei colpevoli

di Mario Lombardo

A seguito di un’indagine giornalistica apparsa nel 2012 negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia di Washington e l’FBI hanno ammesso questa settimana che, per almeno due decenni prima dell’anno 2000, gli esaminatori dei laboratori scientifici della polizia federale americana hanno presentato prove di colpevolezza fasulle a carico degli imputati in quasi tutti i procedimenti giudiziari recentemente sottoposti a revisione.

Le autorità federali hanno aperto indagini sulla correttezza di numerosi processi dopo che il Washington Post aveva rivelato come esami al microscopio dei capelli rinvenuti sulle scene dei crimini fossero tutt’altro che attendibili ma comunque presentati in aula come prove pressoché inconfutabili da parte dell’FBI.

In questo modo, centinaia o forse migliaia di persone innocenti hanno ricevuto sentenze di condanna per gravi crimini, come omicidio o stupro, in tutti gli Stati Uniti. I verdetti si erano spesso basati sulle testimonianze degli esperti dell’FBI, i quali garantivano appunto che i capelli esaminati appartenevano agli imputati anche se i test non davano in realtà alcuna certezza.

Le prime statistiche sono state rese note dall’Associazione Nazionale degli Avvocati Difensori (NACDL) e dall’organizzazione Progetto Innocenza che hanno collaborato con il governo americano nella revisione delle prove scientifiche dei casi sospetti. I risultati fin qui noti riguardano oltre 200 processi, mentre circa 350 - su un totale di 2.500 - sarebbero stati riesaminati alla metà di aprile.

Dai dati diffusi questa settimana emerge che dei 28 specialisti dei laboratori dell’FBI coinvolti nei processi analizzati, 26 avevano esagerato l’importanza dei test tricologici, favorendo l’accusa in oltre il 95% dei casi. Tra di essi vi sono quelli di 32 imputati condannati a morte, di cui 14 già giustiziati o deceduti in carcere.

In definitiva, un numero potenzialmente enorme di imputati è stato condannato ingiustamente negli ultimi decenni negli Stati Uniti, a causa della determinazione con cui i procuratori hanno perseguito verdetti di colpevolezza, da ottenere anche basandosi su esami scientifici errati condotti dall’FBI.

La ricostruzione di uno dei casi in questione fatta dal quotidiano britannico Guardian riguarda la vicenda di George Perrot, il quale ha trascorso quasi 30 in carcere in seguito alla condanna per lo stupro di una donna anziana nel 1985 a Springfield, nel Massachusetts.

L’allora 17enne Perrot era finito alla sbarra nonostante non fosse stato rinvenuto alcun reperto biologico che lo collegasse alla scena del crimine. La stessa vittima aveva testimoniato che l’imputato non somigliava per nulla all’aggressore.

Durante il processo, tuttavia, un agente dell’FBI esperto di analisi tricologiche aveva spiegato alla corte che uno specialista sufficientemente addestrato era in grado di confermare quasi senza margine d’errore che un campione di capelli apparteneva a una determinata persona.

Ricorrendo a un gergo rigorosamente scientifico, l’agente dell’FBI aveva così spazzato via ogni dubbio, collegando Perrot al crimine di cui era accusato. La sua testimonianza, però, è risultata essere errata, come molte altre basate su questo genere di esami.

Secondo la comunità scientifica, simili esami non sono infatti affidabili e capelli di persone diverse possono apparire simili, così che i test tricologici devono essere incrociati con più accurate prove del DNA. Uno studio realizzato dall’FBI già nel 2002 aveva peraltro accertato come nell’11% dei casi i propri test del DNA avessero smentito quelli del capello ritenuti validi.

Nella città di Washington, l’unica giurisdizione negli USA dove finora sono stati riaperti tutti i casi con condanne basate su esami di laboratorio di capelli, a partire dal 2009 cinque imputati su sette, i cui processi includevano testimonianze errate di esperti dell’FBI, sono stati scagionati grazie al test del DNA. Tutti e cinque avevano già scontato condanne dai 20 ai 30 anni di carcere per omicidio o stupro.

Per il co-fondatore del gruppo Progetto Innocenza, “l’uso per tre decenni da parte dell’FBI dell’esame del capello al microscopio per incriminare gli imputati nei procedimenti penali è stato un completo disastro”.

Nei casi caratterizzati da errori, le autorità federali stanno offrendo ora la possibilità di eseguire test del DNA sugli imputati, ma solo se richiesti da un giudice o dall’accusa. Solo gli stati della California e del Texas prevedono però esplicitamente la possibilità di ricorrere in appello nel caso esperti di laboratorio ritrattino le loro testimonianze o quando vi siano progressi scientifici tali da screditare prove precedenti.

Lo scandalo delle false prove prodotte dall’FBI per ottenere condanne in procedimenti penali non fa dunque che confermare la natura brutale e sostanzialmente anti-democratica del sistema giudiziario statunitense.

L’America è il paese che ospita il maggior numero di detenuti al mondo in rapporto alla propria popolazione e continua a eseguire condanne a morte senza sosta.

In alcuni stati, addirittura, la recente difficoltà nel reperire le sostanze chimiche da utilizzare nella procedura per l’iniezione letale ha portato al ripristino nei loro ordinamenti della possibilità di mettere a morte i condannati con metodi ancora più barbari ampiamente utilizzati in passato, come la fucilazione e la camera a gas.

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