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25/01/2015

Strage di Parigi: noi e gli islamici

La strage parigina è stato uno straordinario reagente che ha portato in chiaro quello che l’inchiostro simpatico del taciuto (o del parzialmente detto) aveva scritto nel subconscio di molti: l’immagine indistinta dell’“islamico”, che appiattisce tutto nella paura, o, all’opposto, il senso di colpa verso gli immigrati che spinge ugualmente ad un acritica incapacità di distinguere.

Parlo, ovviamente, del “sentire” mediano, non di chi fa aperta professione di fede in un senso o nell’altro e, tantomeno, di quelli che vivono e lucrano sull’“industria della paura come la Lega.

Solo una capra come Salvini può dire un’enormità del tipo “ci sono milioni di islamici pronti ad ucciderci sul pianerottolo di casa”! E non si capisce come mai, nonostante ci siano tanti aspiranti assassini, non ci siano caterve di morti, dato che nessuno passa all’azione. Una simile sguaiataggine non merita d’essere commentata se non per commiserare brevemente il suo infelice autore.

Ma, a parte il becero Salvini e la sua amica Le Pen, che speculano su questi drammi umani, per raggranellare il loro gruzzolo elettorale, il punto è che c’è una totale disinformazione sul mondo islamico che, da una parte e dall’altra, si immagina come qualcosa di  perfettamente omogeneo; il che è quanto di più lontano dalla realtà si possa immaginare. Magari torneremo sul punto per accennare alle profondissime diversità, ai conflitti, alle dinamiche opposte che attraversano il mondo islamico. Molti colgono una vena di ostilità contro l’Occidente diffusa nel mondo islamico e temono che sia realmente in atto una “invasione” dei nostri paesi da parte musulmana.

Va detto senza complessi di sorta, che effettivamente fra gli islamici e noi, tanto qui in Europa, quando nei paesi d’origine, c’è un innegabile attrito che, pur molto lontano da propositi omicidi, fa velo alle relazioni fra noi e loro. Un certo risentimento da parte islamica c’è ma, per la verità, non è certo immotivato: lasciando da parte le lontane guerre di religione, culminate nella cacciata dei Moriscos dalla Spagna e poi nelle battaglie di Lepanto e di Vienna, noi un po’ di torti nei confronti dei mussulmani li abbiamo accumulati: i regimi coloniali europei (francese nel Maghreb, inglese in Egitto ed India, all’epoca inclusiva di Pakistan e Bangladesh, olandese in Indonesia, Italiano in Libia) non si sono distinti per umanità.

Poi il mandato esercitato nelle ex province ottomane di inglesi e francesi non è stato neppure un modello di equanimità. Algeria e Indonesia hanno pagato la loro lotta per l’indipendenza con massacri, torture, deportazioni ed oppressioni varie. E sin qui la storia recente.

Veniamo al presente: Israele (che loro vedono come un pezzo di Europa che usurpa un loro territorio), da 70 anni calpesta i palestinesi che reagiscono in modo aggressivo e spesso sbagliato, ma comprensibile, e l’Europa assiste inerte a tutto questo e non esercita nessuna moral suasion per spingere alla pace. Dal 1991 ci sono state tre guerre di aggressione occidentali all’Iraq ed all’Afghanistan, poi c’è stato l’infausto intervento francese in Mali, la terribile situazione somala che si trascina da 20 anni.

Insomma, non che questo giustifichi neppure da lontano azioni come quella dell’11 settembre a New York o la strage parigina, però si capisce il persistere di un’acredine di fondo, che cresce ove si consideri la condizione degli immigrati. Diversi commentatori (per tutti Feltri) hanno osservato che l’”integrazione con gli islamici è fallita”. Ma perché, è stata mai tentata? In Francia i maghrebini sono ammucchiati come bestie nelle case fatiscenti della banlieu parigina, dove, qualche anno fa, l’incendio provocato da un impianto elettrico assai malridotto, causò la morte di diverse persone (tutti islamici). In Italia e Germania le cose stanno meglio, ma ci vuol davvero poco. I lavoratori islamici sono fra i peggio pagati e più sfruttati, ai loro figli sono riservate le scuole più scalcinate, non c’è alcun riguardo per la loro cultura e nessun tentativo di aprire un dialogo, come tutti gli immigrati, non hanno alcun diritto elettorale (neppure per le amministrative) se non quando e se ottengono la cittadinanza, per loro non c’è promozione sociale di sorta. In queste condizioni, per quale miracolo dovrebbe esserci una integrazione e dovrebbero trovarci simpatici?

Prima di pronunciare certi giudizi sull’Islam, gli occidentali farebbero bene a farsi uno scrupoloso esame di coscienza e prima di blaterare di guerra di religione o scontro di civiltà, farebbero bene ad informarsi su cosa sia davvero il mondo islamico.

Questo doveroso esame di coscienza, però, non deve sfociare in un complesso di colpa inemendabile, che inibisce ogni giudizio critico sulla situazione e sui nostri rapporti con gli islamici. Ci sono i Giuliano Ferrara di destra, che immaginano gli islamici come un’unica massa di tagliagole fra i quali sarebbe vano fare qualsiasi distinzione e ci sono i Giuliano Ferrara di sinistra, che, parimenti incapaci di discernimento, immaginano gli islamici come un unico aggregato umano tutto positivo e verso nel quale sarebbe colpevole tentare ogni distinzione.

Allora è bene chiarire che, se non c’è ragione di non accogliere gli islamici nelle nostre comunità, però c’è islamico ed islamico. I terroristi, spero che saremo tutti d’accordo, sono nemici da combattere e non possiamo accettare commandos che scorrazzano per le nostre città ammazzando gente, vi pare? Non tutti gli islamici sono jihadisti, come dimostra la guerra civile in atto in gran parte di quei paesi. E non tutti gli islamici, per fortuna, sono fondamentalisti. E qui qualche distinzione ogni tanto tocca farla. C’è chi si indigna di questo discorso trovando scandaloso che si voglia distinguere fra islamici “buoni” e islamici “cattivi”. E’ proprio così: vogliamo distinguere fra “buoni” e “cattivi” (per usare questo linguaggio da asilo infantile). Prendiamo l’esempio dei tedeschi, in passato c’erano quelli che erano nazisti e quelli che non lo erano: possiamo distinguere? Gli americani: ci sono quelli del Ku Klux Klan e quelli che non sono razzisti e così via. Perché non dovremmo usare lo stesso metro per gli islamici? Per caso hanno uno statuto speciale, per cui sono tutti “buoni” e tutti portatori degli stessi diritti?

E qui veniamo ad un punto molto delicato: capire a quali condizioni ci possa essere accoglimento degli immigrati di fede islamica. Va detto molto chiaramente che ci sono dei paletti da fissare, per i quali noi non siamo disposti a rimettere in discussione alcuni capisaldi:

a- la prevalenza della legge (e della legge scritta) su qualsiasi altra forma normativa, quindi niente kanoon;

b- l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge che presuppone la stessa legge per tutti, per cui niente corti islamiche o giurisdizioni speciali;

c- la laicità dello Stato, l’uguaglianza di tutte le religioni e di tutte le convinzioni filosofiche, per cui niente “statuto speciale” per l’Islam come per chiunque altro;

d- la parità dei sessi, per cui niente pratiche patriarcali e piena libertà delle donne islamiche al pari di chiunque altra;

e- piena libertà di pensiero e di espressione, per cui niente censura neppure a tutela di qualche religione;

Ovviamente non è affatto necessario che l’islamico che voglia entrare nel nostro paese muti le sue convinzioni, ma o si adatta a questa civiltà giuridica o è liberissimo di scegliere un altro paese più “affine” in cui immigrare.

Lo so: è un discorso poco simpatico e con una vena autoritaria, ma il diritto è per sua natura coattivo e non è possibile convivenza senza norme giuridiche.

Peraltro è assolutamente falso pensare che tutto l’Islam rigetti i punti appena indicati: ci sono scuole di pensiero perfettamente compatibili con essi. Comunque, va detto che la grande maggioranza degli islamici accetta tranquillamente quel quadro normativo. Non lo accettano i fondamentalisti che sono una piccola minoranza della cui compagnia possiamo volentieri fare a meno.

Allo stesso modo, è bene dire con la massima chiarezza che, sino a quando l’immigrato non acquisisce la cittadinanza, è un ospite nel paese che lo accoglie e, come tale, non può pensare di avanzare pretese come quelle di modificare costumi, abitudini, cultura locale. Ovviamente, cultura, costumi ed abitudini cambiano nel tempo, ma per scelta del popolo interessato e non per imposizione esterna. Per la stessa ragione non abbiamo mai creduto in quella solenne bufala che è l’esportazione della democrazia nei paesi non occidentali: ciascun popolo deve vedersela da solo sul proprio territorio. L’immigrato deve essere accolto, deve esserci osmosi culturale, è sacrosanto il rispetto delle sue convinzioni (nella misura in cui siano compatibili con le leggi del paese ospitante), ma è altrettanto giusto che egli rispetti le convinzioni e la cultura del luogo in cui arriva. Rispetto reciproco.

Il punto è che la maggioranza degli islamici chiede di poter pregare in una moschea (e questo è un loro diritto indiscutibile), ma non ha alcuna pretesa di impedire la pubblicazione di vignette o libri che magari avverte come offensivi della propria fede (anche se ne chiede il rispetto, come è giusto che sia), non gli passa per la testa di chiedere la rimozione dei crocefissi o dei presepi (cose che è giusto lasciare alla libera scelta del gruppo di studenti di una classe o una scuola). Questo tipo di richieste, per la verità un po’ insolenti, sono tipiche dei fondamentalisti e non vanno mai accolte proprio per il motivo che vengono fatte da loro e con questo spirito (così chiariamo che io sono laico ed ateo, pertanto presepi e crocefissi mi lasciano del tutto indifferente, ma se mi trovo di fronte a richieste del genere, di crocefissi e presepi ne voglio il doppio).

Poi è necessaria un’opera di mediazione culturale, che sinora non è stata fatta, in modo da risolvere antichi livori e nuove incomprensioni e facilitare il dialogo fra le diverse culture, insisto: nel rispetto reciproco.

Dunque, spirito fraterno di accoglienza e nessuna discriminazione, ma anche chiarezza nella definizione delle condizioni di convivenza che non possono essere lasciate allo stato brado. I problemi si risolvono affrontandoli, non facendo finta che non ci siano.

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