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26/01/2015

Siria - I colloqui di Mosca già falliti in partenza

Sono iniziati questa mattina a Mosca i colloqui tra il regime e l’opposizione siriana, incontri che si protrarranno per i prossimi quattro giorni ma che già sembrano destinati a fallire. L’obiettivo, secondo le autorità russe, è quello di gettare le basi per una conferenza di pace alla stregua dei due cicli di negoziati tenutisi lo scorso anno a Ginevra, sostenuti dalle Nazioni Uniti e conclusi con un nulla di fatto.

A spegnere gli entusiasmi occidentali, già deboli per il rifiuto del Consiglio nazionale siriano –  parte della Coalizione nazionale di opposizione proclamata a Doha nel 2012, ndr – di partecipare agli incontri, ci ha pensato un’intervista concessa da Bashar al-Assad al magazine americano Foreign Affairs, in cui il presidente siriano ha dichiarato che discuterebbe pure con un’opposizione vera, ma non con un branco di “burattini controllati da Qatar, Arabia Saudita e dall’Occidente”.

Ricordando che la Coalizione di opposizione, residente all’estero, non rappresenta “in alcun modo” le forze che si combattono sul campo, Assad si è chiesto nell’intervista a chi servirebbe questo dialogo. “Se si vuole parlare di un dialogo fruttuoso – ha dichiarato – questo dovrebbe avvenire tra il governo e questi ribelli”. Salvo poi ricredersi ed etichettare quegli stessi ribelli nel seguito dell’intervista come “militanti jihadisti con cui il dialogo è impossibile”.

Riguardo ai piani statunitensi, recentemente svelati, di voler addestrare 5 mila ribelli siriani in Qatar, Arabia Saudita e Turchia per combattere contro lo Stato Islamico, Bashar al-Assad li ha definiti “illusori”, oltre che “illegali”: “Portare 5000 combattenti da fuori – ha dichiarato il presidente siriano – non produrrà altro che la loro defezione in massa verso le fila dello Stato islamico. E saranno tratti come qualunque altra milizia illegale che combatte contro l’esercito siriano”.

Assad ha poi attaccato nuovamente la strategia statunitense di lotta all’Isis, alla luce delle dichiarazioni di venerdì scorso del Pentagono secondo cui i bombardamenti della Coalizione hanno fatto retrocedere i jihadisti solo dall’un per cento del territorio occupato in Iraq: “Quello che abbiamo visto finora – ha detto Assad – è solo una facciata, nulla di reale”. Puntando il dito contro la Turchia, accusata dal regime siriano di aver fatto circolare liberamente centinaia di jihadisti per la sua frontiera con la Siria, Assad si è chiesto come mai Washington non facesse pressione su Ankara per farle “interrompere il suo supporto ad al-Qaeda”.

Intanto, sul campo, la battaglia sembra concentrarsi ora intorno alla capitale. Ieri un attacco da parte dei militanti di Jaysh al-Islam, formazione islamista basata nel sobborgo orientale di Ghouta, ha provocato nove vittime tra i civili e decine di feriti nei quartieri residenziali di Damasco. Jaysh al-Islam aveva avvertito nei giorni scorsi che avrebbe colpito in rappresaglia al raid dell’esercito che la scorsa settimana aveva ucciso 40 persone.

Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, l’attacco di ieri è stato il più sanguinoso e intenso sulla capitale da almeno un anno. E sembra che non sarà l’unico, dal momento che Zahran Alloush, leader di Jaysh al-Islam, ha promesso una “pioggia di bombe su Damasco, ogni giorno”.  Aiutati dai miliziani di al-Nusra e altre formazioni jihadiste che hanno appena annunciato di aver conquistato una base dell’esercito siriano nella provincia sud-occidentale di Deraa, proprio al centro della cintura difensiva della capitale, Damasco appare il prossimo tassello della strategia islamista. Dopo quattro anni e oltre 220 mila morti, la guerra sembra più viva che mai.

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