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26/12/2014

Nati ai bordi di periferia

di Tania Careddu

Paesaggi scialbi, nuovi orizzonti di cemento, spazi. Fisici ma anche mentali. Capacità di trovare nuovi modi per superare, saltare, aggirare gli ostacoli che si trovano quotidianamente davanti, di aprire nuovi percorsi nell’ambiente circostante, di attribuire significati alternativi e senso ai luoghi marginali in cui si vive, di ricercare la bellezza dove manca: è l’immagine perfetta dello spirito di adattamento di una intera generazione nata e cresciuta ai confini delle metropoli, fatti di palazzi moderni, pochi servizi e scarsa manutenzione degli spazi pubblici. Dove mancano possibilità, speranza e futuro.

Descritti ne L’atlante dell’infanzia (a rischio) – Gli orizzonti del possibile, il dossier di Save the Children che fa un viaggio attraverso le città, le strade, i quartieri, le stanze e altri luoghi di vita dell’infanzia, partendo dal presupposto che le città, a seconda della loro conformazione, possono rappresentare o una minaccia per la loro salute oppure una straordinaria occasione di sviluppo. E cioè: la qualità delle abitazioni, la progettazione dei quartieri, la densità e l’allocazione del suolo, l’accesso agli spazi verdi e alle infrastrutture, le aree ricreative, le piste ciclabili, la pulizia dell’aria, l’inquinamento acustico e l’esposizione a sostanze inquinanti influiscono sul benessere dei minori.

Negli ultimi decenni, è cresciuta l’età in cui è permesso stare fuori casa da soli, è diminuita la varietà e la qualità complessiva dei luoghi pubblici nei quali ai bambini è concesso muoversi e sembra aumentare l’insofferenza degli adulti nei confronti dei giochi dei piccoli i quali pagano la scarsità degli spazi ludici con l’assenza di “occasioni di gioco libero, auto-governato e non gestito da adulti e da essi finalizzato”.
Deficitarie di parchi e giardini, piste ciclabili e aree pedonali, più presenti al Nord che al Centro-sud, le città offrono la strada come unico spazio possibile, sebbene, da un lato favorisca, appunto, la mobilità del bambino, dall’altro ne configura il suo filo spinato con effetti preoccupanti sulla salute. Il divieto di giocare in strada, infatti, ne limita l’autonomia, la possibilità di trovare nuovi amici, di sperimentare l’avventura e di attivare processi di crescita.

Così, la contrazione degli spazi dedicati mantiene in auge le classiche attività praticate nei vicoli, tipo nascondino, acchiapparella, mosca cieca, campana, il gioco dell’elastico, biglie, pallavolo. Gli ascensori delle palazzine delle periferie, i carrelli dei centri commerciali adiacenti sono stati introdotti nel repertorio delle cose con cui giocare per riscattare il nulla che li circonda. E le attività sulla strada sono sempre più destrutturate, non basate sul risultato ma aperte alla creatività e al valore del lavoro di gruppo. In questi contesti, però, gli operatori osservano la “precoce perdita della dimensione infantile e della sua necessaria spensieratezza” e la “contrazione dei tempi dell’adolescenza”.

Crescere in contesti di marginalità urbana e disuguaglianza spaziale vuol dire partire da una oggettiva condizione di svantaggio: riduce gli spazi dei bambini di incontro con il mondo, le possibilità di apprendimento, le occasioni di nutrimento culturale e sociale. E in seguito al graduale processo di allontanamento dagli spazi pubblici e dalla strada, le case sono diventate, per la prima volta nella storia, il più importante habitat dell’infanzia, oltreché un potente indicatore di salute.

Settecento mila bambini vivono in appartamenti poco luminosi, un milione e trecentomila in abitazioni con problemi di sovraffollamento (per Eurostat, quando più di due bambini sotto i dodici anni o due adolescenti di sesso diverso, si trovano a dover condividere un’unica stanza), due milione e duecentomila in case umide, con tracce di muffa sulle pareti e sotto soffitti che sgocciolano. Le conseguenze, oltre che fisiche, sui minori che vivono negli alloggi situati nelle aree marginali delle città sono psichici: pochi arredi, ripetitivi e carenti per forma e varietà di colore, che dovrebbero avere un senso, invece, “sottraggono loro opportunità di manipolare e organizzare le proprietà visive dell’ambiente e di strutturare percettivamente e discriminare le sfumature di quel dato ambiente”.

Tanto più che lo spazio dove si cresce non è mai neutro, può, appunto, avere un ruolo di sviluppo oppure essere un potente fattore regressivo. Anche perché i bambini attribuiscono un’importanza strategica ai luoghi in quanto spazi di rapporto con gli adulti e con le proprie possibilità più intime, diventando lo spazio sociale necessario in cui affermare la propria identità. “C’è qualcosa che permea la polis, le famiglie e la scuola insieme: tutti sembrano incapaci di trovare modi di una presenza adulta non ingerente, discreta, che lasci a sé senza abbandonare”, ha detto Mario Rossi Doria, maestro di strada, che di politiche educative e insegnamento in quartieri difficili ne ha un certa infarinatura.

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