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31/12/2014

L'hacker di Interview? Un ex della Sony

Non avrà mai l'importanza della "boccetta" agitata da uno spiritato Colin Powell davanti all'assemblea plenaria dell'Onu, per strappare un consenso all'invasione dell'Iraq, ma anche la storiella del "cyber-terrorismo della Corea del Nord" contro il sito della Sony - "colpevole" di aver prodotto e diffuso Interview, un filmetto molto visto e ancor più criticato dagli spettatori - resterà negli annali come esempio di quanto la menzogna sistematica sia ormai uno dei principali strumenti di governo. A livello globale e/o nazionale.

Non che non ci fossero state perplessità "forti" sulla capacità del regime nordcoreano di attaccare informaticamente i siti di un colosso come la Sony e altri collegati. Ma "tutto può essere", nel mondo dei servizi segreti e delle guerre non convenzionali. Ora la certezza che i coreani di Pyonyang non c'entrano nulla, mentre i sospetti si concentrano su un semplice ex dipendente dello zaibatsu giapponese, desideroso di vendetta per qualche sgarbo o licenziamento.

Una bella differenza, non c'è che dire. Ma i giornali occidentali hanno forse cambiato tono? Macché... Nuova sceneggiatura, nuova narrazione e via, come se nulla fosse. Del resto, l'unica dittatura davvero intollerabile è quella dell'avversario, no?

La spiegazione razionale e corroborata da evidenze è arrivata dai ricercatori dell’azienda di cyber-intelligence Norse. A forza di computare dati e tracce informatiche, il cerchio dei sospetti si è ridotto a sei persone. Nessuno dei quali con domicilio oltre cortina di bambù. Lavorando poi sulle competenze tecniche necessarie a portare un attacco del genere si arriva rapidamente a uno, massimo due, anche se magari per l'occasione si potrebbe essere costituita una "posse" tra ex dipendenti Sony con esperienze negative simili. Si punta infatti su un gruppo di licenziati nel mese di maggio di quest'anno.

Chi ne dovrebbe uscire mediaticamente massacrato è però il governo statunitense, che aveva messo la faccia sulla responsabilizzazione della Corea del Nord, con Obama impegnatissimo a recitare la parte della "libertà di espressione". Pensate che qualcuno stia rimproverando al "commande in chief" la figuraccia rimediata a livello globale? Nessuno, tra i media importanti. E dire che non si tratta di figuracce che aiutino la credibilità internazionale degli Stati Uniti...

Il gruppo di hacker autori dell'attacco avevano probabilmente fatto conto esplicito sul fatto che l'amministrazione Usa avrebbe colto al volo l'occasione per esercitare "pressione" contro la Corea del Nord (nel film si sbeffeggia senza mezzi termini il terzo Kim della dinastia al potere). Si erano infatti anche dati un nome - i “Guardiani della pace” - che doveva far pensare a misteriosi "pontieri" tra culture e dittature diverse. Fino a minacciare "attacchi a i cinema" che avessero osato proiettare il film.

Persino l’Fbi ne esce svergognata: aveva infatti stabilito "con assoluta certezza" che il codice del malware usato dagli hacker per attaccare la Sony è del tutto simile a quelli usati dalla Corea del Nord. Alcuni informatici, però avevano ben presto spiegato che un codice così "vecchio" (anche temporalmente") non avrebbe mai potuto superare nessuno dei livelli di sicurezza moderni.

Volete ridere? L’Fbi resta ferma sulla sua posizione. Non sapendo scegliere cosa sia più ridicolo, se ammettere la falsificazione o proseguirla, contando sulla "memoria corta" della cosiddetta opinione pubblica occidentale. Ammaestrati da media falsari al limite dell'arma impropria.

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