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26/11/2014

Tunisia, dentro all'ordine rimane sempre un po' di disordine: un reportage semiserio dalla capitale

Al Faudha chay min annidam (o di come il Casino faccia parte del Sistema). Dice che l'identità sia un fattore multiplo, e che a starsi a fissare con il verbo essere si diventi pazzi,o non si diventi niente. Specie qui a Tunisi, dove parlano arabo, e in arabo il verbo essere non esiste,  almeno al tempo presente. Dal bar dei giornalisti dove scriviamo la vista sull'Avenue Bourguiba è parecchio  multipla, nel senso che oltre ai vetri che riflettono di tutto, tranne che giornalisti, le bottiglie di Celtia - uno dei gruppi agroalimentari più importanti del paese, che fino al 2007 monopolizzava ufficialmente la vendita di birra in Tunisia, mentre ora lo fa non ufficialmente - arrivano fitte al tavolo, multiple anche loro.

La percezione quindi soggettivissima del tutto non toglie però oggettività al calendario elettorale del paese, che domenica mattina si è alzato presto per andare a votare il suo prossimo Presidente della Repubblica, dopo una cinquantina d'anni di dittatura smistati tra il buon Bourguiba (carezzò le donne e sculacciò gli islamisti e blablabla) e il cattivone Ben Alì, cacciato quest'ultimo a calci in culo dal paese quasi quattro anni fa,  nella tanto osannata Rivoluzione dei Gelsomini. "Gelsomini una bella sega" ci dissero al tempo.  338 persone morte e altre 2147 rimaste ferite durante le proteste avvenute prima e dopo il 14 gennaio 2011,  giorno della caduta dell'ex rais tunisino, dei quali più dei due terzi non raggiungeva i 40 anni di età.  La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva quello.

Ma tant'è, domenica si è votato, e i tunisini hanno scelto il loro Rais, che con la nuova costituzione ha subito  un forte ridimensionamento di ruolo. Proprio quanto il due di picche comunque non conta, visto che sta a lui  scegliere i vari ministri degli Esteri, degli Interni e della Difesa. "Anche se il potere del Presidente è limitato,  l'elezione di Hamma ci permetterebbe di ridiscutere i trattati economici stipulati in passato con l'Europa,  per ritrovare quella dignità che il popolo tunisino si è conquistato con la rivoluzione" ci dice Ben Abdellah,  il direttore della campagna presidenziale del Fronte Popolare a Tunisi.

Riassuntino per chi, giustamente, ignora chi sia Hamma, nè abbia avuto notizie del Fronte Popolare  tunisino. Cosa che, a giudicare dalla qualità della campagna elettorale imbastita dal nostro Ben, non può  destare scalpore. Intanto la Jabha Chaabia, che in arabo vuol dire appunto Fronte del Popolo, che è la  coalizione di sinistra sorta in seguito all'avvenuta morte del PCOT, il Partito Comunista Tunisino, che a sua volta ci ha messo qualche tempo ad accorgersi che a Berlino avevano tirato giù il muro. Hamma Hammami è invece il portavoce e candidato alle presidenziali per il Fronte, classe '52 e storico oppositore del regime di  Ben Ali, che per anni lo ha simpaticamente tenuto in prigione e torturato per la sua scandalosa resistenza  al pensiero unico del regime.

"Bisogna riallacciare quel filo rosso con la Rivoluzione lasciato a marcire dalle dinamiche politiche degli  ultimi anni" ci dice Aymen, collaboratore di No Pasaran, casa di produzione audiovisiva nata sull'onda  libertaria dei moti del 2011. "Tutto il mondo è concentrato sulla Tunisia, su chi possa vincere le presidenziali"  continua Aymen (e qui vabbè, sic!) "Dei sondaggi che sono stati fatti, quello più credibile vede Hamma al  secondo posto dietro Essebsi, e se Essebsi non vince subito al primo turno, il secondo lo vince di sicuro  Hamma. E' una questione di fiducia, il popolo è con lui. E se vince Hamma, per la Tunisia è come aver fatto  una seconda rivoluzione!". Speriamo.

A rendere un'impresa l'avanzata del comunismo in Nordafrica sono, in ordine di realistico successo: l'ottuagenario e coda Beji Caid Essebsi, cavallo favorito al picchetto per l'esperienza che vanta in politica,  avendo diviso la merenda con Bourguiba stesso ai tempi del vecchio partito destouriano, ma anche per l'appartenenza alla compagine di Nida Tounes, il partito modernista che ha battuto gli islamici di Ennahdha  nelle scorse legislative e che l'Europa vede di buon occhio perchè permetterebbe di riprendere quel filo  commerciale che i giovani piantagrane della rivoluzione si sono permessi d'interrompere; Moncef Marzouki, l'ex leader del Congres Pour La Republique, che tra una sbronza e un'altra è riuscito a trovare l'appoggio  non ufficiale degli islamisti di Ennahdha e di quel che rimane della Lega per la Protezione della Rivoluzione,  disciolta banda di ubriaconi anche loro, ma è chiaro, se vedono bere qualcun'altro s'incazzano in nome di Allah;  Slim Riahi, riccone loschissimo e potente, che siamo andati a conoscere alla chiusura della campagna per le  legislative, dove in un meeting a metà tra la sagra del polpo e un aperitivo al Twiga, ha mostrato  come soldi, figa e guardie del corpo servano a poco quando fai un discorso in pubblico e l'ultimo libro che hai letto è la versione illustrata di Pinocchio; Kelthoum Kennou, candidata donna indipendente, che a nostro  avviso, oltre al caro Hamma, rappresenterebbe una vera e propria libecciata nella ghigna per un paese in cui il testosterone impregna ancora troppo gli spazi pubblici. Insomma, questi i papabili.

Ma dicevamo della campagna presidenziale del Fronte, che a nostro parere ha lasciato un po' a desiderare. Una campagna, tra l'altro, che stando a quello che ci ha raccontato la base del partito, ha continuato ad  essere orgogliosamente finanziata a fichi secchi, tanto che al nostro amico e artista Zied gli ci sono volute  due ore e una decina di birre per far capire a Ben e ai suoi amici l'importanza della creatività quando affronti, politicamente o meno, un qualsiasi discorso basato sulle immagini. La mattina dopo la sbornia che si è dovuto prendere nell'ottimo per quanto sudicio ristorante Bec Fin, Zied raccoglieva qualche migliaio di foto profilo  da Facebook, sovrapponeva alle foto la firma divenuta logo di Hamma Hammami, riusciva a trovare uno  stampatore compagno che accettava di stampare a rimborso spese, per quanto alla fine poi facesse un casino  e invece di stampare in un modo stampasse in un altro, e si recava bestemmiando in silenzio, perchè se ti  sentono chiaramente s'incazzano, sull'Avenue Bourguiba.

Qui in giornata, parliamo di venerdi scorso, era prevista la chiusura della campagna presidenziale di Hammami, di Marzouki e di Slim Riahi. Se i primi due si accontentavano di una parte di viale compresa tra i 20 e i 30 metri, il sobrio Slim, il ricco candidato dei poveri, si accaparrava fin dalla sera prima lo spazio di un intero campo di calcio, evidentemente per restare in tema, visto che per non annoiarsi Riahi si è anche comprato la storica squadra di Tunisi, il Club Africain. Per tutta l'Avenue, pompata da un soundsystem di tutto rispetto, risuonava  una musica truzza a palla, ballicchiata da giovani truzzi a palla. Completavano la scena una ventina e più di  energumeni in giacca e cravatta, a pilotare un cordone seriosissimo, tronfio di pettorali nel separare l'elite  dal resto della piazza, fatta di giovanissimi ingelatinati e giovanissime supertruccate, tutti o quasi giunti con  i pullmann dai quartieri popolari, al richiamo di 15 dinari e un panino - poi diteci se non ha ragione il buon De Georgio, che sulla Gazzetta dello Sport di qualche giorno fa pubblicava un articolo su Slim Riahi dal titolo  "Il Berlusconi di Cartagine". Dedicato a chi pensava che l'occidente esportasse solo democrazia.

Torniamo a Zied però, perchè sia chiaro che all'immagine della separazione imposta dal potere ai propri sudditi preferiremo fino alla morte la voglia di lavorare che non salta mai addosso ai baldi giovani militanti del Fronte,  che per capire che Zied avrebbe magari bisogno di una mano nello stendere, spiegare, attachinare, far asciugare ed esporre i 12 grossi striscioni di foto c'impiegano un'oretta buona. Giusto il tempo per finire di mandare il messaggio al telefono, o il tempo che ci vuole a Zied a finire più o meno da solo. Fatto sta che l'idea funziona, e lo spazio piccolo e raccolto della Jabha si popola di curiosi che guardano a terra in cerca di se stessi. L'idea alla base di Hammami, quella di essere un figlio del popolo, prende finalmente corpo. Ci voleva tanto.

Rispunta quindi quel clima tra il confuso e il sognante che si respirava tra i compagni alla vigilia delle  legislative del 2011, dopo un sacco di eventi che avevano asciugato lentamente l'onda rivoluzionaria, tipo:  la risacca politica che accompagnò la vittoria degli islamici di Ennahdha, per colpa della quale ci puppammo  per giorni i pianti isterici di qualche compagna che sognava di aprire un sexi shop dentro la Medina;  il drammatico ritorno degli omicidi politici ai danni di due delle figure più carismatiche e pacioccose del Fronte,  Chokri Belaid e Mohamed Brahmi; le mille più o meno giustificate paranoie sul terrorismo islamico,  legate non solo agli attentati di cui sopra ma anche all'attacco subito dai militari nel luglio scorso,  dove ci hanno lasciato il calzino 15 soldati tunisini, e qui apriamo una parentesi, che però non essendo Snowden richiudiamo al volo. Nella nostra gita fuori porta al campo profughi di Choucha, un giovane tenente  che controllava il campo, dopo averci ufficialmente finito di rompere le palle con i permessi per le riprese  all'interno dell'area si lasciava andare a considerazioni del tipo: "I terroristi al confine con l'Algeria li conosco  bene, mi hanno sparato addosso non troppo tempo fa, e chiamarli terroristi non aiuta a raccontarli  per quello che sono in realtà: agenti dei servizi segreti algerini". Note a piè di pagina: nessuna.

Torniamo a noi, e già che ci siamo concludiamo anche. Le legislative di un mese fa si dice siano andate bene in termini di affluenza verso i bussoli di cartone.  Ora, "bene" chiaramente è un parolone, e sul "si dice" lasciamo ai filosofi il compito di spiegare con Heidegger l'anonima opera di banalizzazione legata al sentito dire. Una considerazione però va fatta.  In Tunisia vivono un po' meno di 11 milioni di persone, i cittadini che si sono registrati per poter votare non sono arrivati neanche a 5 milioni all'interno del paese, per cui calcolando un'affluenza alle urne di circa il 60%  degli aventi diritto, si capisce quanto il richiamo alle urne abbia un po' toppato come valido riempipista.  Anche perchè il giochino democratico funziona se la gente a votare ci va, o quantomeno prende il voto per quello che è, un piccolo contributo meramente strategico ad un impegno che si porta avanti tutti i giorni  in casa e per strada. Quando però un biopotere messo a cuocere per 50 anni di dittatura ti si è infilato fin  dentro al buco del culo, il processo di smarcamento dal paternalismo politico, tipo il nostro "piove governo ladro", e di costruzione di un vero senso di cittadinanza, resta lento e travagliato, e c'è poco da fare le crocette  sulle figurine dei vari candidati.

Certo, non che dalla nostra malconcia penisola si possa stare tanto a fare i ganzi con l'andazzo che tira. Ma se per strada i sensi unici sono un optional, bere un campari o darsi un ciuccione può farti rifinire in questura, e se sei una donna alle 10 di sera sarebbe meglio tu tornassi a casa, bè, un problemino di cittadinanza un paese certo ce l'ha. A noi ci è sembrato di poterlo identificare nella membrana troppo poco elastica che divide  lo spazio privato, in cui si fa più o meno quel che ci pare, dallo spazio pubblico, in cui quel che ci pare, a nostro sindacabilissimo avviso, viene troppo spesso visto come esibizione di un individualismo di stampo occidentale.

Detto questo non smettiamo certo di fare il tifo per i tunisini, popolo accogliente e generoso che se non altro ci insegna quanto la rettitudine e la disciplina siano pur sempre, anche se non soltanto, questioni di facciata, e che al fondo di qualsiasi civilizzazione o messa in forma dell'umano consorzio rimanga il buco entropico  dell'energia vitale, da cui ha attinto la stessa rivolta popolare del 2011. Vale a dire: dentro all'ordine rimane  sempre un po' di disordine. O come ci siamo presi la libertà di tradurre: il Casino fa parte del Sistema.

per Senza Soste, da Tunisi
Jacqueline Farda


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