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26/11/2014

Il mosaico iracheno (parte 2)

di Francesca La Bella

La zona centrale dell’Iraq, nella quale si situa anche la capitale Baghdad, è quella dove è demograficamente maggioritaria la componente sunnita. Un’area dove più forti sono state le conseguenze degli attacchi internazionali dato il radicamento delle forze favorevoli a Saddam Hussein. Città come Ramadi, Falluja o Tikrit, città principali insieme a Baghdad del cosiddetto triangolo sunnita, divenute celebri per la strenua resistenza alle azioni della Coalizione internazionale. Città che, ad oggi, sono centrali nella battaglia tra l’IS e il Governo centrale iracheno.

E’, infatti, proprio nell’area a maggioranza sunnita che si gioca la principale disputa tra le controparti e dove maggiori sono i protagonisti in campo. In queste province, nucleo centrale del Califfato, lo Stato Islamico trova sia la propria base sia i suoi più forti avversari e, per questo, il controllo di esse diventa fondamentale per lo sviluppo degli eventi a prescindere dalla presa della capitale. Gli attori, in questo caso, sono molteplici ed alleanze a geometrie variabili portano a continui e repentini cambiamenti degli equilibri. Gruppi di ex-alleati di Saddam Hussein hanno mantenuto una discreta presenza su questi territori, alcuni gruppi sciiti di opposizione hanno ampliato il loro raggio d’azione anche nelle zone a maggioranza sunnita sia in opposizione allo Stato islamico sia nell’ottica di preservazione del predominio sciita sull’intero territorio iracheno.

Gli scontri tra milizie paramilitari in quest’area sono, dunque, all’ordine del giorno. A questo si aggiunge l’azione dell’esercito regolare e delle milizie della più grande delle provincie dell’area, la provincia di Anbar. Quest’ultima è ormai da molto tempo, teatro di violenti scontri tra gruppi sunniti locali, esercito iracheno e militanti dell’IS. Se durante la guerra d’Iraq del 2003, l’Anbar si era distinto per la netta contrapposizione all’ingresso della Coalizione dei Volenterosi, nel periodo 2006-2008, la stessa provincia ha svolto un importante ruolo nella sconfitta delle compagini islamiste, riunite sotto la denominazione AQI (al-Qaeda in Iraq) nell’area. Il cosiddetto Anbar awakening ha, di fatto, permesso al Governo centrale, con l’aiuto statunitense, di ristabilire l’effettivo controllo sulle area centrale dell’Iraq. La mancanza di sostegno della popolazione sunnita ha avuto, dunque, un peso consistente nella capacità di azione dei gruppi islamisti, ma nel corso del Governo a guida Maliki la situazione è radicalmente cambiata e AQI, ormai diventato ISIL (e poi IS), ha trovato sempre maggior seguito tra la popolazione.

Ed in questo contesto che l’ennesima rivolta contro il Governo centrale ha aperto spazi di conquista per lo Stato islamico. All’intervento dell’esercito regolare nelle aree di Ramadi e Falluja per sedare le proteste sunnite si sono contrapposti, infatti, due diversi schieramenti: uno rappresentato dal Consiglio Generale Militare dei Rivoluzionari e da altre forze sunnite unitesi a tutela della popolazione sunnita dai raid dell’esercito regolare e dei gruppi paramilitari sciiti ed uno rappresentato dall’IS.

Nell’Anbar lo Stato Islamico ha, dunque, uno dei nuclei centrali della sua azione (come parallelamente a Raqqa in Siria) e, in questi giorni, la situazione della provincia sembra sul punto di esplodere nuovamente. Sarebbe, infatti, in atto un’offensiva dell’IS contro Ramadi, capoluogo ed unica città della provincia ancora sotto esclusivo controllo del Governo centrale. Nonostante i differenti obiettivi delle tribù alla guida dell’Anbar rispetto alle volontà politiche del Governo Abadi, si sta conformando una alleanza di fatto tra le due parti contro quello che viene considerato il nemico, al momento, più pericoloso. Nonostante questo, l’ingresso in città di milizie sciite spaventa la popolazione dati i casi di violenza contro i sunniti del passato. Si teme, inoltre, che le milizie, regolari e non, possano rimanere sul territorio dell’Anbar a prescindere dal risultato ottenuto contro le forze dello Stato Islamico. Come nel caso del Kurdistan, dunque, l’alleanza strategica momentanea non apre a prospettive future di conciliazione nazionale data la natura emergenziale del riavvicinamento e la mancanza di obiettivi condivisi.

Le aree a maggioranza sciita

Molto forti all’interno dell’Iraq sono anche i gruppi politici e militari sciiti. Alcuni nati in opposizione a Saddam Hussein, altri formatisi in contrapposizione all’occupazione statunitense prima e al Governo al Maliki in seguito, altri ancora formalmente indipendenti, ma agenti ufficiosi delle politiche del Governo centrale sciita. Queste compagini hanno oggi un ruolo particolarmente importante nella lotta contro lo Stato Islamico e nel controllo effettivo di alcune parti del Paese. Benché le principali città sciite del sud sembrino escluse dall’attuale conflitto e sottoposte al controllo esclusivo del Governo centrale, nell’area centrale del Paese la percezione di un incombente pericolo per la popolazione è tale che, ad esempio, per la festa dell’Ashura (festa del sacrificio) di inizio novembre, ingenti sono state le misure di sicurezza messe in atto da Baghdad per tutelare i pellegrini sciiti in arrivo a Kerbala.

In quest’ottica si legga il rinnovato vigore di gruppi come quello guidato da Moqtada al Sadr che, dopo essersi ritirato per un breve periodo dalla vita politica irachena, ha scelto di tornare e, ad oggi, il suo movimento controllerebbe le aree di Samarra, Jurf el Sakher e il governatorato di Diyala. La forza di questi gruppi è tale, anche grazie alle vittorie sul campo contro lo Stato Islamico, da permettere ai suoi dirigenti di minacciare Baghdad di ritiro immediato dagli avamposti conquistati qualora si conformasse la possibilità di un intervento internazionale a guida statunitense.

Per la popolazione di queste aree, però la liberazione dal controllo dello Stato Islamico, non significa, necessariamente un miglioramento del proprio livello di sicurezza. Molte testimonianze parlano di attacchi diretti delle milizie sciite contro la popolazione sunnita e di interi villaggi rasi al suolo dalle stesse in una logica di vendetta contro la popolazione sunnita per gli attacchi dell’IS contro gli sciiti. Laddove non esiste omogeneità etnica le problematiche diventano, così ancor più stringenti e la lotta contro lo Stato Islamico si trasforma in un conflitto tra sunniti e sciiti che, inasprendo gli animi da entrambe le parti, porta nuove forze sia alle compagini più radicali della galassia sciita sia all’IS. A questa situazione, già di per sé precaria, si aggiunga la questione dei profughi interni che, potrebbe modificare parzialmente la demografia del Paese oltre che obbligare ad un contatto diretto etnie diverse come successo alle migliaia di profughi sunniti dell’Anbar spinti verso sud-ovest dall’avanzata dell’IS.

Un discorso a parte deve essere fatto, invece, per Baghdad. Alla problematica degli sfollati, nella capitale, si è aggiunto un ulteriore fattore di destabilizzazione: molti sono stati gli attentati nei quartieri sciiti e, per quanto il controllo della città sia ancora saldamente nelle mani del Governo, il timore di nuovi attacchi è sempre maggiore.

Alla luce di tutto questo e, consci che molti altri fattori, interni ed internazionali, contribuiscono a rendere precaria la situazione irachena e impediscono la soluzione della vicenda sia nel breve sia nel medio periodo, possiamo sottolineare come l’IS sia solo uno dei fattori della crisi irachena. La causa primaria delle fratture irachene deve, dunque, essere cercata nel passato del Paese e la crisi attuale non potrà essere risolta con la mera vittoria militare sullo Stato Islamico, ma dovrà passare per la soluzione di questioni politiche, economiche e sociali di più ampio respiro.

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