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30/10/2014

Università: la precarietà è per sempre

"Se il lavoro che regalo, lo regalo spon­ta­nea­mente, di mia volontà, per me sì, è - oltre che etico - anche un gesto quasi nobile. Se invece il lavoro “devo” rega­larlo per tutti i motivi del mondo, no, non è etico, è svi­lente e umi­liante. Anche se poi, in defi­ni­tiva, siamo tutti con debo­lezze e dif­fi­coltà più o meno grandi”.

Questo quanto si evince dall'ultimo numero della rivista Socio­lo­gia del lavoro (1/2014), tito­lato "Con­fini e misure del lavoro emer­gente", curato da Emi­liana Armano, Fede­rico Chic­chi, Eran Fischer, Eli­sa­betta Risi. Un’immagine che la dice lunga sull’egemonia culturale che sta inducendo tra i lavoratori questa crisi e la sua gestione, e sulle forme di resistenza che ne emergono.

Con la legge di stabilità il governo Renzi ha iniziato a mettere le mani sulla questione del precariato, presentando nessuna (ma proprio nessuna) inversione di rotta rispetto ai governi precedenti. Questo la dice lunga sul ruolo della politica in Italia di questi anni, dove le lettere e le direttive a base di 'austerità' dell'Unione europea valgono molto, ma molto di di più rispetto a qualsiasi volontà politica dei nostri governanti ormai coalizzati tutti sotto un unico grande partito-regime.

Un articolo del Fatto Quotidiano racconta le ultime manovre che condannano il mondo della conoscenza e della ricerca al precariato infinito, dove è bastato eliminare una lettera per eliminare ogni speranza di stabilizzazione per centinaia di ricercatori. Era stata infatti preannunciata l’intenzione di avviare un minimo di percorso di stabilizzazione del precariato all’università, che consisteva nel vincolo di formalizzazione di un RTD (ricercatore a tempo determinato, primo passo verso la stabilizzazione), per ogni nuovo professore ordinario. Nella bozza della mano­vra odierna (arti­colo 28, comma 29) c’è l’abolizione del ricer­ca­tore «tenure track», quella figura creata dalla riforma Gel­mini, anti­ca­mera all’assunzione da pro­fes­sore asso­ciato a tempo inde­ter­mi­nato.
Dun­que, i 7–800 ricer­ca­tori che dovreb­bero essere assunti saranno tutti pre­cari, o alla ricerca disperata di un contratto. Con una mossa di bacchetta magica Renzi eli­mina così il comma che imponeva un minimo di assun­zioni a tempo inde­ter­mi­nato e punta sull’estensione totale del precariato nella ricerca.

Il risultato sarà che gli ordinari fioriranno in sostituzione lenta dei vecchi baroni, mentre i giovani e ormai non più giovani ricercatori rimarranno precari, in scadenza, e prossimi alla disoccupazione. A nulla vale quindi la competitività tra precari nel mondo della formazione: anche accettando di sottostare a tutti i canoni di produttività imposti, è chiaro che l'uscita dalla condizione di instabilità lavorativa non potrà mai avvenire.

Questo è quanto l’Italia investirà sulla formazione e sulla ricerca, o meglio quanto la formazione e la ricerca italiana è destinata a contare nello scenario di un'Italia inserita all'interno dell'Unione Europea. O, per dirla ancora in modo migliore, quanto la formazione e la ricerca pubblica siano destinate a dipendere sempre di più dalle convenzioni con industrie e aziende di carattere privato.

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