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30/09/2014

Turchia in guerra ma è più nemica la Siria o la Jihad?


Ad Ankara il Governo turco annuncia la disponibilità a intervenire contro Isis. L’operazione che prevede l’impiego anche di militari sul terreno avverrebbe dopo il 2 ottobre, quando il Parlamento voterà l’iniziativa dell’Esecutivo. Le tensioni con i curdi di casa e gli equivoci con la Siria.

Zona cuscinetto in casa altrui

‘Buffer zone’, zona cuscinetto, ma da imporre in casa altrui. Lo propone il Presidente Erdogan in una intervista al quotidiano ‘Hurriyet’.
Il Capo dello Stato turco, smentisce le accuse di scarso impegno per non aver partecipato fin da subito alla coalizione di volenterosi guidata dagli USA.
Eppure, solo una settimana prima, Erdogan ha impedito il passaggio dalla Turchia dei 300 combattenti curdi del PKK pronti a contrastare i jihadisti di Daish, arrivati, dopo la conquista di 64 villaggi, a 5 km da Kobani.
Kobani è la terza città curda in Siria, sul confine Nord siro-turco, che ha già registrato l’esodo di oltre 100 mila curdi siriani.


Quegli ostaggi che erano anche scudo
Lo scambio di prigionieri con le formazioni jihadiste e la liberazione dei 49 ostaggi turchi apre per Ankara altri problemi. Con contraddizioni evidenti.
Tipo: le frontiere turche aperte il 19 settembre per accogliere i curdi siriani in fuga dalla zona di Kobani sono state richiuse 4 giorni dopo per contenere un flusso di oltre 130 mila profughi.
Accade mentre raid aerei di USA, Francia e UK bombardano siti di Daish in Iraq e mentre altri Paesi della Coalizione (Italia e Repubblica Ceca) inviano armi ai curdi.
Quei ‘Peshmerga’ che al momento sono gli unici alleati della Coalizione presenti sul terreno.
Le varie formazioni curde, riunite nelle “Unità di protezione popolare curde” (Ypg) chiedono agli Occidentali le stesse armi distribuite all’“opposizione moderata” siriana.

I curdi buoni e i curdi ‘cattivi’
In realtà il timore dei turchi è che le armi fornite all’”opposizione moderata”, come accaduto anche nel recente passato con gli jihadisti di al Nusra e Daish, possano finire nelle mani dei guerriglieri curdi in Turchia.
Guerriglieri che hanno sempre accusato la Turchia di avere fornito armi e frontiere libere ai jihadisti addestrati nella base turca di Reyhanli e diretti in Siria e Iraq.
Il rapporto privilegiato Ankara-Daish, per quanto negato, è motivo della crescente insofferenza curda verso la Turchia.
L’Unione delle Comunità curde, una specie di Fronte Urbano del PKK, ha comunicato che lo stato di ‘non conflitto’ è stato interrotto per le iniziative del Governo turco e accusa l’AKP al governo, di trarre solo vantaggi dagli sforzi di Ocalan, ancora in carcere, per favorire la pace.

Le troppe ambiguità di Erdogan
La tregua curda è in vigore dal marzo 2013, anche se con qualche interruzione, ma potrebbe saltare se il ‘Consiglio Esecutivo’ del PKK intende adottare contromisure di fronte alla politica dell’AKP.
Al centro di queste tensioni che minacciano il processo di pace tra la Turchia e il PKK c’è l’atteggiamento decisamente ambiguo della Turchia nei confronti del movimento sunnita radicale che ha prodotto il Califfato di al-Baghdadi oggi all’offensiva fra Iraq e Siria.
Lo stesso Ocalan, nei giorni scorsi, si era lamentato per l’immobilismo nel processo di pace e il capo militare del PKK, Murat Karayilan, che guida la guerriglia sul Monte Kandil nel Nord dell’Iraq, ha affermato che il processo di pace è finito.

Le doppiezze che piacciono alla Turchia
Nel frattempo, i raid degli statunitensi privilegiano in Siria gli impianti petroliferi che potrebbero interessare i jihadisti per contrabbandarne il prodotto ma contemporaneamente distruggono la rete delle strutture damascene.
Contemporaneamente vengono addestrate e armate le formazioni dell’“opposizione moderata”.
In questo contesto, la posizioni attuali di Erdogan diventano l’eccellente completamento dell’originario piano dell’intervento armato in Siria.
Colpire due nemici in un colpo solo, più nemico Damasco che il Califfo, per Ankara.
La ‘buffer zone’ in territorio siriano lungo il confine con la Turchia è rafforzata da una ‘no fly zone’ di fatto sulla Siria Nord-Est perché gli aerei governativi non possono sorvolarla essendo lo spazio aereo impegnato dai raid USA.

La NATO contro Isis e contro Assad
Da un punto di vista geostrategico, la Turchia rappresenta di fatto l’avamposto dell’operazione militare contro/dentro la Siria.
E’ il luogo dove la NATO ha 20 basi aeree, navali e di cyber-spionaggio, rafforzate sin dal 2013 da 6 batterie di missili Patriot portate da USA, Germania e Olanda, in grado di abbattere ogni velivolo in quello spazio aereo.
Le basi sono completate dall’attivazione a Smirne dal ‘Landcom’, il comando NATO responsabile di tutte le Forze terrestri dei 28 Paesi membri.
Ma c’è in casa chi gioca sporco.

Non solo NATO in casa turca
Secondo le inchieste del New York Times e del Guardian britannico, nelle province turche di Adana e Hatal, al confine con la Siria, la CIA avrebbe centri di formazione militare per l’addestramento di gruppi islamici provenienti da Afghanistan, Cecenia, Libia, e Siria, con armi fornite da Arabia Saudita e Qatar.
Che ne farà l’“opposizione moderata” che combatte Assad ma che ha già chiesto che i raid in Siria vengano estesi contro i siti del regime e contro le milizie di Hezb’Allah e dell’Iran, che combattono a favore di Assad?
Quella stessa opposizione ‘moderata’ che ha già siglato un patto di “non belligeranza”con Daish?


Sospetto finale
La situazione in Libano e l’ennesimo incontro fallito fra il Gruppo 5+1 e sul nucleare iraniano suggeriscono almeno una risposta.
Bersaglio, ancora una volta, la “mezzaluna sciita” per isolare l’Iran e lasciare l’egemonia all’“asse sunnita” a guida di Arabia Saudita, Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo e Giordania.
Ma l’Occidente è davvero sicuro di avere i migliori e sicuri amici nel complesso mondo arabo musulmano?
Il problema resta sempre quello della unità di misura: valori di democrazia condivisa, di civiltà, di progresso condivisi? Decisamente pochi se non nessuno.
Basta condividere la politica dei prezzi del barile di petrolio per regolare le alleanze sul pianeta?

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