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24/09/2014

Turchia e Califfo come si fa tra Stati scambio di prigionieri


Emergono le prime verità sulla liberazione dei 46 ostaggi turchi rapiti a Mosul. Per ottenere il loro rilascio il presidente Erdogan avrebbe consegnato in cambio ai miliziani jihadisti 50 membri dello Stato Islamico catturati da un gruppo ribelle siriano sostenuto e finanziato dalla Turchia.

Il giornale turco Hurriyet svela l’avvenuto scambio di prigionieri tra il governo di Ankara e lo Stato Islamico. La verità sul rilascio dei 46 ostaggi turchi prelevati a inizio giugno dal consolato di Mosul dai milizini jihadisti. Dunque lo scambio c’è stato. Ankara ha ottenuto dal gruppo ribelle siriano Liwa al-Tawhid la liberazione di 50 membri dello Stato Islamico, consegnandoli successivamente ai soldati del Califfo in cambio degli ostaggi turchi. Nel gruppo dei prigionieri rilasciati dai ribelli siriani ci sarebbero la moglie e i figli del leader Isis Haji Bakr, ucciso ad Aleppo a gennaio.

Lo scambio di prigionieri con lo Stato islamico sarebbe avvenuto grazie anche a una nuova legge che dà facoltà all’intelligence di fare scambi di prigionieri purché non abbiano la nazionalità turca. Personaggio centrale della vicenda la moglie di Bakr, che farebbe parte di questo patto trilaterale fra Turchia, ribelli siriani e al Baghdadi, che secondo il sito turco Tavka Haber - vicino ai jihadisti - ha dato in persona l’ordine di restituire gli ostaggi del consolato. I ribelli consideravano la donna una fonte preziosa. Testimone di come suo marito fu prima uomo di Saddam e poi capo jihadista.

La versione ufficiale del governo turco era stata poco convincente da subito: ostaggi liberati senza il pagamento di alcun riscatto dissero allora. A confondere le acque le parole stesse del primo ministro Ahmet Davutoglu. ‘La Turchia non è scesa a patti in alcun modo con i soldati del Califfo Al Baghdadi’, disse. Una mezza verità senza ammettere lo scambio. E ancora, «Il loro rilascio non è il risultato di un blitz delle forze speciali». Se non è stato pagato un riscatto e se non si è trattato di una operazione di ‘esfiltrazione’ condotta abilmente dai MIT, i servizi segreti, cosa sarebbe stato?

Ora sappiamo cosa è realmente accaduto. Ma c’è una parte che deve ancora emergere. Altra merce di scambio quasi certamente messa sul tavolo delle trattative potrebbero essere stati gli interessi petroliferi legati al contrabbando di greggio, gestito dallo Stato Islamico con diversi Paesi del Medio Oriente, Turchia compresa. Il traffico di petrolio si sta rivelando una risorsa decisiva per Al Baghdadi. 3,2 milioni di dollari al giorno ricavati dallo sfruttamento degli undici giacimenti controllati tra Siria e Iraq, che vengono reinvestiti per l’acquisto di armi sempre più sofisticate.

Alcune ipotesi e nessuna conferma, probabilmente mai. Ma intanto si apre la partita sul futuro ruolo che Ankara vorrà avere nella campagna militare contro lo Stato Islamico. Sinora la Turchia aveva rifiutato persino di concedere le proprie basi aeree, importante quella di Incirlik, per il decollo di droni e caccia americani. Adesso che gli ostaggi turchi sono in salvo potrebbe cambiare la strategia in Medio Oriente? Difficile che accada. Secondo LookOut la Turchia avrebbe, nei confronti dell’opposizione jihadista al regime di Assad un atteggiamento ambiguo e a tratti forse condiscendente.

Antichi sostegni turchi in chiave anti Assad nei confronti degli estremisti islamici, qaedisti di Jabhat Al Nusra o miliziani dello Stato Islamico. Senza dimenticare la questione curda. L’arrivo di più di 130mila curdi fuggiti dall’enclave di Kobane-Ayn Arab assediata dagli jihadisti. La chiusura della maggior parte dei valichi di frontiera con la Siria, ha“ingabbiato” oltreconfine anche centinaia di miliziani del PKK mobilitati in difesa dei curdo-siriani. Un problema, quello delle popolazioni curde che, assieme ai confini condivisi su Siria e Iraq, impongono una certa promiscuità con Isis.

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