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25/09/2014

Lorenzo il Magnifico, l’intelligere intelligente alla scuola di spionaggio


Il lessico giornalistico su questioni di spionaggio è estremamente limitato. Anche perché abbiamo rinunciato ad usare la nostra lingua, che è ancora l’italiano. Ora spionaggio si dice ‘intelligence’, in americano. Con derivati cinematografici tipo ’007′ se si preferisce l’inglese al servizio della Regina. ‘Spia’, ‘spione’, ‘barbafinta’, sono la volgarizzazione italiana di un mestiere che forse non è il vero spionaggio. Eppure basterebbe tornare appunto alla ricchezza della nostra lingua, l’italiano, e se non basta quello, fare un passo indietro verso il latino. Ripartiamo da ‘Intelligence’ made in Usa, che poi è la traduzione della nostra parola ‘intelligenza’. Prima ancora c’era il sostantivo latino ‘intelligentĭa’. Ma non basta. ‘Intelligentĭa’ derivante dal verbo ‘intelligĕre’, capire. Peggio ancora. ‘Intelligĕre’ sarebbe una contrazione del verbo latino ‘legĕre’, leggere, con l’avverbio ‘intŭs’, dentro. Chi aveva ‘intelligentĭa’ era dunque qualcuno che sapeva «leggere-dentro», «leggere oltre la superficie», ma anche (‘legĕre’ con la preposizione ‘ĭnter’, tra), «leggere tra le righe». Detto in italiano corrente, saper vedere oltre, saper collegare tra loro tutti i diversi elementi che possono determinare un fatto.

Siamo partiti da lontano prendendo spunto da una curiosità. Un corso universitario a Firenze per migliorare la conoscenza della sicurezza nazionale - attenzione al passaggio - «in collaborazione con i servizi segreti italiani». Da rimanere basiti. Intanto perché a Firenze dove i Medici inventarono i primi servizi di spionaggio dell’era moderna. Poi perché uno potrebbe pensare che anche in Italia i Servizi di sicurezza - quelli segreti - siano finalmente proposti al pubblico come un normale Organo dello Stato, soltanto un po’ più riservato, con un nome - e questo almeno c’è - ma anche un luogo dove esistere, con persone alcune delle quali non possono apparire ma con altre che debbono essere pubbliche, con doveri e responsabilità note. Ma a sollecitarmi questa nota è stato proprio il corso universitario di cui ho letto su LookOut. «Realizzato sulla scia dell’accordo di collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze e il Dipartimento delle Informazioni per la sicurezza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DIS)». Sembra quasi di essere in America dove uno guarda sull’elenco telefonico e trova tutti i recapiti della Cia.

Provate voi a fare questa ricerca in Italia e poi mi racconterete. Potreste provare a chiedere dell’Aise o dell’Aisi ad un comando Carabinieri e poi raccontarcelo. Ma noi rimaniamo a questo ‘quasi corso’ da aspiranti ‘quasi spie’ a Firenze. Fosse mai che nei ‘Servizi’ (così si dice) si entra anche per titoli accademici e non solo per stellette o altro? Una volta, per breve tempo, avevano arruolato dalle università. Accadde, poi tornò il vincolo al riuso di dipendenti pubblici, e ora? Saltando di frasca in palo, restiamo nei paraggi delle spie. Audizione del direttore dell’Aise, servizi segreti esteri, Alberto Manenti, al Copasir, la commissione parlamentare di controllo. ‘Situazione internazionale’, ma - il vero tema - la situazione degli ostaggi italiani in mano all’Isis o a bande siriane, e le possibili soluzioni per giungere alla loro liberazione. Di fatto parliamo delle due ventenni d’azzardo, Greta e Vanessa, andate allo sbaraglio in Siria. Problema del pagamento dei riscatti. Quella parte in commissione è avvenuta in seduta segreta. Quindi immaginiamo le verità. L’Italia ha mai ceduto ai ricatti dei sequestratori? ‘Sempre’. Quando è accaduto? ‘Mai’. Vite salvate, e poi è ‘Segreto di Stato’.

Visto che siamo in tema, anche un giro spionistico veloce per il mondo. Lo scorso primo luglio Re Abdallah bin Abdulaziz Al Saud ha nominato il Principe Khaled bin Bandar bin Abdul Aziz alla testa dei servizi segreti. Una figura importante di Casa Saud. Il Principe è infatti nipote del fondatore del Regno, personaggio destinato a far parte della leadership saudita della prossima generazione. Classe 1951, cadetto dell’Accademia militare reale britannica, ex comandante dell’esercito saudita, esperto di sicurezza nazionale e affari esteri, ha partecipato alla guerra di liberazione del Kuwait nel 1991 e ha diretto le operazioni militari contro i ribelli Houthi in Yemen. Dal 2013 è stato governatore di Riyadh, la capitale che ospita le maggiori rappresentanze straniere e la maggior parte dei membri della Casa reale. Poi l’incarico di vice ministro della Difesa prima di approdare alla guida dell’intelligence. Bella carriera ma anche bei rischi. Per due decenni, dal 1979 al 2001, la direzione dell’intelligence saudita fu del Principe Turki bin Feisal, sino all’ex ambasciatore a Washington Bandar bin Sultan, intimo amico dell’ex presidente Usa Bush junior.

Sul fronte più o meno opposto, la notizia della scomparsa a 87 anni di Mike Harari, uno dei più autorevoli uomini dell’intelligence israeliana. Nato a Tel Aviv nel 1927, fu operativo nel Palmach, l’ala militare del governo-ombra ebraico nella Palestina sotto mandato britannico. Successivamente, dopo la nascita dello Stato di Israele, è stato prima agente dello Shin Bet, il servizio segreto per la sicurezza interna, e in seguito del Mossad, i servizi esteri di Tel Aviv. In quarant’anni di carriera ha partecipato e coordinato alcune delle operazioni di spionaggio più famose nella storia dello Stato di Israele. Tra queste la più nota, rievocata anche nel film Munich di Steven Spielberg, è l’operazione “Ira di Dio”. Negli anni Settanta il gruppo operativo Cesarea uccise gli undici militanti palestinesi dell’organizzazione Settembre Nero, ritenuti responsabili della strage di 11 atleti alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Nel 1976 ha condotto il salvataggio di un gruppo di ostaggi israeliani a Entebbe, in Uganda. Curiosità nazionale: Mike Harari era stato addestrato come radiotelegrafista e inviato a Roma per il Mossad, campagna d’immigrazione illegale del dopoguerra, nome di copertura, Alex.

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