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24/09/2014

La Cina cresce, ma in un altro modo

Non è il paradiso del socialismo, ma nemmeno più la Manchester del 1843. Le disparità di reddito sono immense, come qui in Occidente, ma si vanno riducendo (al contrario che qui). C'è il capitalismo spinto, ma il suo grado di "slevaticità" è meno spinto.

In Cina fanno gli investimenti produttivi, al tasso del 40% (mente in Europa anche la Germania non arriva più al 18%). Aumentano gli studenti iscritti all'università, specie nelle materie scientifiche, e questo consentirà nei prossimi anni di aumentare esponenzialmente la "produttività dei fattori produttivi". Il cambiamento di modello di sviluppo - dall'export oriented alla espansione del mercato interno - è conseguenza indiretta della crisi globale esplosa nel 2007-08, ma anche di una programmazione degli investimenti industriali pianificata da un governo non eterodiretto dal capitale.

Vedere per credere, come ne parla - ammirata - l'agenzia reuters.

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Elogio della nuova normalità della Cina

Yao Yang

(Reuters)
PECHINO – L'economia cinese, finalmente, sta vivendo una fase di ribilanciamento, con i tassi di crescita che da oltre il 10 per cento di prima del 2008 sono calati oggi al 7,5 per cento circa. Si tratta della "nuova normalità" per la Cina? Oppure il paese deve aspettarsi una crescita ancora più lenta nel prossimo decennio?
Il ribilanciamento della Cina è evidente, in primo luogo e di gran lunga nel settore delle esportazioni. La crescita delle esportazioni ha rallentato, passando dalla sua media annua del 29 per cento nel periodo 2001-2008 a meno del 10 per cento, rendendo così la domanda dall'estero un motore di crescita di gran lunga meno importante.
Oltretutto, l'anno scorso l'occupazione e la produzione nel settore manifatturiero hanno iniziato a diminuire in percentuale rispetto al totale.
In effetti, nel primo semestre di quest'anno i servizi hanno contribuito per oltre la metà alla crescita economica complessiva. Non stupisce, di conseguenza, che le eccedenze delle partite correnti si siano rapidamente ridotte, passando dal picco superiore al 10 per cento del Pil nel 2007 all'attuale 2 per cento circa del Pil.
Questo riequilibrio ha concorso a migliorare la distribuzione del reddito in Cina. In realtà, negli ultimi anni la percentuale del reddito nazionale da lavoro è andata aumentando, riflesso diretto del calo nel settore
manifatturiero e dell'espansione dei servizi.
Tutto ciò ha significato anche un più ampio riequilibrio a livello di regioni: le province della costa, che producono oltre l'85 per cento delle esportazioni del paese, stanno vivendo il loro periodo di recessione più
vistoso, mentre le province dell'entroterra hanno mantenuto tassi di crescita relativamente alti. Di conseguenza, il Coefficiente di Gini della Cina (un indice della disuguaglianza su base 100 punti, in base al quale allo zero corrisponde l'uguaglianza assoluta e all'uno la disuguaglianza assoluta), nel 2012 è sceso allo 0,50, mentre nel 2010 era a 0,52.
A indurre questi cambiamenti sono per lo più due fattori principali. Il primo è il calo della domanda globale, nella scia della crisi finanziaria del 2008 che ha costretto la Cina ad adeguare il suo modello di crescita prima del previsto. Il secondo è la continua trasformazione della Cina a livello demografico. Rispetto alla  popolazione complessiva, la percentuale dei cittadini cinesi in età da lavoro (da 16 a 65 anni) continua a scendere dopo aver raggiunto nel 2010 il suo picco massimo con il 72 per cento. Anche il numero assoluto delle persone in età da lavoro continua a diminuire dal 2012.
Al tempo stesso, la Cina sta vivendo una fase di rapida urbanizzazione e nel periodo 2001-2008 circa 200 milioni di persone hanno abbandonato il settore agricolo per cercare posti di lavoro nelle industrie manifatturiere delle grandi città. Più di recente, tuttavia, il ritmo di questa migrazione è sostanzialmente rallentato, e le aree rurali mantengono tuttora il 35 per cento della forza lavoro cinese complessiva.

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