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29/09/2014

Bahrein - La piccola grande prigione del Medio Oriente

Manifestanti davanti la prigione di al-Wusta (fonte Wikipedia)
Con quasi tremila prigionieri politici (la maggior parte dei quali arrestata dopo il 2011) su una popolazione di 1.2 milioni di persone (di cui solo 570 mila con cittadinanza), il Bahrein si piazza al secondo posto per tasso di popolazione imprigionata tra le nazioni arabe, superato solo dagli Emirati: 175 su 100 mila a Manama, 238 a Dubai. Numeri che fanno rabbrividire se si pensa che il regno degli al-Khalifa, sparpagliato su 33 isole per un totale di 750 kmq, è il più piccolo tra gli stati arabi. Sul suo territorio sono presenti 20 penitenziari, con una popolazione carceraria letteralmente raddoppiata dal 2011, anno della rivoluzione intrapresa dai bahreiniti sulla scia delle “primavere arabe” e soffocata nel sangue dal regime con l’aiuto degli altri paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). Ma che non sembra destinata a tacere.

In assenza di dati ufficiali rilasciati dalle autorità di Manama, i numeri della prigionia politica in Bahrein sono stati raccolti dal Centro internazionale per gli Studi sulle Prigioni (ICPS), una ong britannica, e pubblicati dal quotidiano libanese al-Akhbar, basandosi sui dati del Dipartimento di Stato americano e su quelli diffusi dalle varie ong e gruppi di attivisti. L’ICSP è riuscito a calcolare il tasso di popolazione imprigionata nell’isola e a decretare che esso sia “superiore alla media di tutti gli Stati arabi in Medio Oriente. ”

“In confronto ad altri stati arabi dell’Asia occidentale –  ha spiegato un funzionario dell’ICPS ad al-Akhbar – l’Arabia Saudita e l’Algeria sono secondi al Bahrein con un tasso di popolazione carceraria stimata a 162 su 100 mila abitanti, mentre l’Iraq segue con 139 e il Libano con 108. Il Bahrein è superato solo dagli Emirati, che hanno un tasso di popolazione carceraria di 238 su 100 mila. Se la categoria includesse anche gli stati non arabi, il Bahrein sarebbe superato dall’Iran (283), Israele (248) e Turchia (196). Nella classifica mondiale, il Bahrein si piazza all’82esimo posto su 222 nazioni, superando paesi come la Cina, la Francia, il Pakistan, la Nigeria e l’India”.

I dati raccolti mostrano che la popolazione carceraria in Bahrein è letteralmente raddoppiata dopo la rivolta del 2011 contro la dinastia al-Khalifa, come era successo negli anni 1993-1997 durante la “Sollevazione della Dignità” scoppiata per chiedere riforme democratiche e culminata nell’adozione di una parvenza di Costituzione con il referendum del 1999. “Nel 1993 – riporta al-Akhbar – la popolazione carceraria era di 305 persone, mentre nel 1997, al culmine di quella rivolta, ha raggiunto quota 911 persone. Sarebbe scesa a 437 nel 2003, per poi salire a 522 nel 2006 e raggiungere quota 1.100 nel 2010″. Un chiaro modo di mettere a tacere il dissenso, dal momento che oggi come allora le autorità bahreinite non parlavano di prigionieri politici, ma di “criminali che cospirano per rovesciare il regime al potere e comunicano con le entità straniere”.

Come ha evidenziato perfino la Commissione di Inchiesta indipendente per il Bahrein (BICI), nominata dal governo stesso e guidata dall’avvocato di origine egiziana Sherif Bassiouni, il regno degli al-Khalifa è anche il regno degli abusi e delle torture in carcere. “Almeno cinque persone sono morte a causa della tortura – si legge nella relazione della BICI – tra cui figurano  tecniche come la forzatura a stare in piedi, gravi percosse, l’uso dell’elettroshock e delle bruciature di sigarette, la privazione del sonno, le minacce di stupro, l’abuso sessuale, l’isolamento, le impiccagioni per gli arti e l’esposizione a temperature estreme”.

Tra i destinatari di queste tecniche ci sono anche i minori, che ammonterebbero a circa 200 e che, secondo Nedal al-Salman, funzionaria del dipartimento dei diritti delle donne e dei bambini del Bahrein Center for Human Rights, sono costretti a stare insieme agli adulti e subiscono continuamente torture e abusi sessuali. ”Alcuni dei bambini – spiega al-Salman –  scontano pene fino a 15 anni in base alla legge antiterrorismo, creata per mettere a tacere la rivolta”. E’ poi eclatante il caso dei minori di 13 anni, arrestati perché “partecipavano alle manifestazioni” e condannati per terrorismo “senza uno straccio di prova – aggiunge al-Salman – e nonostante il fatto che la legge del Bahrein non contempli la prigione per i bambini al di sotto dei 15 anni nel caso di una condanna penale”.
 
Tutta questa repressione non sarebbe possibile, secondo al-Salman, senza la connivenza e la cooperazione dell’Arabia Saudita e delle potenze occidentali le quali, mentre con una mano accantonavano i dittatori scomodi di alcune rivoluzioni scelte, con l’altra coprivano gli occhi del mondo sulla sollevazione della maggioranza sciita nel piccolo paese alleato. La prova la evidenzia un articolo del quotidiano The Economist, che ricorda quando Maryam Khawaja, la più prominente attivista bahreinita – arrestata per l’ultima volta il 30 agosto scorso mentre andava a trovare il padre in sciopero della fame, ndr – è stata fermata a Copenhagen mentre si imbarcava su un volo della British Airways diretto a Manama, così come ricorda che l’attivista Nabeel Rajab è stato trattenuto lo scorso maggio appena arrivato a Heathrow e “trattato come un criminale”.

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