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30/07/2014

La Libia brucia. L’Europa scappa. L’Italia ritorna?


«Out of control», fuori controllo l’incendio esploso nel deposito di carburante all’aeroporto di Tripoli, a 10 km dal centro città. Minaccia di esplosioni devastanti e di disastro ambientale. Ma è tutta la Libia che brucia. Guerra per bande, le ambasciate chiudono, salvo quella italiana.

Grande attenzione ma forse non soltanto. L’Italia guarda oltre il Canale di Sicilia e vede le fiamme che minacciano Tripoli, e non soltanto. Nessun intervento ufficiale. La Farnesina smentisce l’invio in Libia di 7 Canadair per contrastare gli incendi nei depositi di carburante dell’aeroporto di Tripoli colpiti da razzi. L’Italia - aggiunge la nota d’agenzia - continua tuttavia a valutare tutte le opzioni per ‘fornire aiuti alla Libia’. Difficoltà tecniche e soprattutto gli scontri tra milizie. L’ambasciata d’Italia resta aperta mentre tutte le altre rappresentanze diplomatiche occidentali chiudono. Segnale preciso.

Ambasciata italiana a Tripoli
A fronteggiarsi sono le milizie di Zintan e le brigate della città di Misurata unite ad altre milizie in un blocco politico-religioso vicino ai Fratelli Musulmani. Il razzo che sta distruggendo l’aeroporto sarebbe stato sparato dalle forze di Misurata, guidate dall’ex parlamentare Salah Badi. Secondo altre fonti, sarebbe stata la fazione islamista LROR, la ‘Libya Revolutionaries Operations Room’ nel tentativo di prendere il controllo dell’aeroporto nelle mani della milizia Zintan dal dopo Gheddafi. La LROR è la forza di sicurezza destituita dal Parlamento dopo il rapimento - ottobre 2013 - dell’allora primo ministro, Ali Zeidan.

Ma torniamo al ruolo dell’Italia in questa crisi travolgente per la Libia. L’ufficio del primo ministro libico, nel fare appello “a tutte le parti per smettere di combattere e consentire agli esperti di mettere in atto con successo un piano per arrestare le fiamme il più presto possibile”. “I tecnici del nostro governo, insieme alla compagnia petrolifera italiana ENI, si sarebbero attivati per aiutare Tripoli a spegnere l’incendio”, dice la nota del governo libico. Palazzo Chigi prudentemente tace mentre alla Farnesina il compito di smentire la stupidaggine di Canadair a sganciare acqua sui combattenti.

In gioco, dicevamo, un intero Paese che brucia. E un’intera regione, quella della Mezzaluna Fertile - da Tripoli fino a Baghdad passando per Gaza - che sta cambiando natura. Dirimpettai mediterranei che ci coinvolgono da vicino, non solo per il flusso di migranti. Questo mentre Usa e Ue o sono distratti - eufemismo - o fanno finta di esserlo. Ormai Clan e tribù - le Kabile - si fronteggiano in tutto il Paese, contribuendo a dividere la Libia in città-Stato indipendenti che non riconoscono né il nuovo parlamento né il risultato delle elezioni. La spaccatura tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Un aereo in fiamme sulla pista dell’aeroporto di Tripoli
Intanto è il ‘Si salvi chi può’. I Paesi occidentali hanno invitato i propri cittadini a lasciare la Libia immediatamente. Numerose sedi diplomatiche sono state evacuate. Gli Stati Uniti, dopo l’episodio del settembre 2012, quando il loro ambasciatore Chris Stephens fu ucciso insieme a tre funzionari, hanno scomodato droni, caccia militari e i marines di stanza a Sigonella, per scortare i diplomatici nella vicina Tunisia. Qualche imbarazzo in più per Londra e Parigi che, tre anni fa, hanno voluto i bombardamenti NATO contro Gheddafi proclamando poi di aver portato la democrazia alla Libia.

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