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23/06/2014

Ue, Juncker: la Spd ha detto sì

di Carlo Musilli

I paradossi non dispiacciono al Pse. Venerdì 10 dirigenti di vari partiti europei di centrosinistra si sono riuniti a Parigi, invitati dal presidente francese François Hollande per stabilire una linea comune in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno. Per quanto riguarda il capitolo più spinoso, ovvero la nomina del nuovo presidente della Commissione Ue, hanno scelto di sostenere il candidato del Ppe, Jean Claude Juncker, il politico di destra più rappresentativo dell'Europa liberista a trazione tedesca che ha dettato legge negli ultimi anni.

Oltre al premier italiano Matteo Renzi, erano presenti i primi ministri di Francia, Austria, Danimarca, Romania, Slovacchia, Malta, Repubblica Ceca e Belgio. La star era però Sigmar Gabriel, presidente della Spd e vicecancelliere tedesco, oltre che superministro dell'Economia federale, che si è prodotto in un annuncio a sorpresa: il partito socialdemocratico più antico d'Europa rinuncia a qualsiasi posto nel nuovo esecutivo comunitario, accettando quindi che il commissario tedesco resti democristiano, ovvero in quota al partito della cancelliera Angela Merkel (come quello uscente, Guenter Oettinger). Di conseguenza anche Martin Schulz, capolista dei socialisti alle ultime europee, arrivato secondo proprio dietro Juncker, rinuncia alla vicepresidenza della Commissione.

Come si spiega tanta generosità? E' una storia di poltrone. La Spd ha chiesto come contropartita che lo stesso Schulz sia confermato alla guida del Parlamento europeo, una prospettiva che ha già ottenuto il placet della Merkel. La spartizione è più o meno equa, visto che - superata qualche esitazione iniziale - la cancelliera tedesca ha appoggiato esplicitamente la candidatura dell'ex numero uno dell'Eurogruppo alla guida del nuovo esecutivo di Bruxelles. Sistemata la Spd, gli altri partiti europei di centrosinistra sperano di essersi guadagnati quantomeno il diritto a competere per altre due posizioni di primo rilievo: la presidenza del Consiglio Ue e la carica di Alto rappresentante della politica estera.

A questo punto, l'ostacolo principale sulla strada della nomina di Juncker rimane l'opposizione di alcuni Paesi capitanati dalla Gran Bretagna. Dopo le elezioni, il premier inglese David Cameron aveva minacciato l'uscita del Regno Unito dall'Ue se ad ottenere l'incarico sarà l'ex premier del Lussemburgo. Il numero uno di Downing Street ritiene che la scelta di Juncker "destabilizzerebbe così tanto il suo governo - ha scritto a suo tempo il settimanale tedesco Der Spiegel - che Londra sarebbe costretta ad anticipare il referendum sulla permanenza nell'Unione europea", e il risultato a quel punto sarebbe certamente favorevole all'uscita, perché "un uomo degli anni Ottanta non può risolvere i problemi dell'Europa di oggi".

Oltre al premier inglese, si oppongono alla nomina di Juncker anche l'ungherese Viktor Orban, lo svedese Fredrik Reinfeldt, l'olandese Mark Rutte e il finladese Jyrki Katainen. Il problema è che nessuno di loro punta alla nomina di un conservatore più illuminato del caro vecchio Jean Claude: al contrario, questo drappello di leader poco appassionati all'ideologia comunitaria vorrebbe che a guidare la Commissione fosse un politico meno europeista, meno abituato all'aria di Bruxelles e - soprattutto - meno in confidenza con la signora Merkel.

La posizione di Cameron è dettata in primo luogo da esigenze di politica interna. Il governo di Londra veleggia verso posizioni sempre più antieuropee per interpretare la crescente ostilità dell'elettorato britannico nei confronti di Bruxelles. L'obiettivo è frenare l'avanzata dell'Ukip, partito di estrema destra che alle elezioni ha ottenuto un risultato storico, arrivando la scorsa settimana a costituire un gruppo euroscettico nel Parlamento europeo insieme ai deputati del Movimento 5 Stelle e ad alcuni politici di altri Paesi.  

Accontentare il primo ministro inglese, tuttavia, non è facile. Juncker è certamente un uomo della vecchia guardia e associarlo a una qualche velleità di rinnovamento suona grottesco, ma era lui il candidato ufficiale del Ppe, lo schieramento uscito vincitore dalle urne (pur avendo perso milioni di voti rispetto alle elezioni di cinque anni fa).
Spetterebbe perciò a lui il primo tentativo di creare una nuova squadra di governo a Bruxelles: scegliere diversamente vorrebbe dire negare un potere decisionale subito dopo averlo concesso, ammettendo di aver ingannato gli elettori, che per la prima volta si sono espressi sapendo a monte chi fossero i candidati dei diversi schieramenti per la guida della Commissione.

I governi di centrosinistra “rispettano lo spirito che ha presieduto le elezioni europee: il partito europeo che arriva in testa deve proporre il candidato prescelto, in questo caso Juncker”, ha spiegato Hollande. Peccato che, per quel che riguarda i contenuti della politica europea nei prossimi cinque anni, dal super-summit di sinistra non sia arrivata alcuna idea di sinistra.

Fonte

Ci vuole un certo stomaco a definire quello parigino super summit di sinistra. Per il resto si tratta della solita spartizione di poltrone tra gente che vede il mondo alla stessa maniera, al massimo differenziando la posizione di qualche virgola.

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