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29/05/2014

L'Egitto ha il suo nuovo faraone

L’Egitto ha il suo nuovo presidente, Abdel Fattah al Sisi, che prende il posto dell’islamista Mohammed Morsi, deposto dal colpo di stato militare del 3 luglio scorso, incarcerato e sotto processo assieme a tutta la leadership del movimento dei Fratelli Musulmani. Centinaia di persone che sventolano le bandiere dell’Egitto si sono radunate questa mattina nei pressi del palazzo presidenziale di Heliopolis, per festeggiare la scontata e schiacciante vittoria dell’ex-generale e ministro della difesa.

I dati ufficiali delle elezioni arriveranno solo tra diverse ore ma gli exit polls non lasciano dubbi. Al Sisi avrebbe raccolto circa il 95% dei voti, una percentuale degna dell’era di un altro faraone, Hosni Mubarak, costretto a farsi da parte nel febbraio del 2011 sotto l’urto della rivolta popolare di Piazza Tarhir.  Al candidato della sinistra Hamdin Sabahi sarebbe andato solo il 5% dei voti. Nessuno aveva scommesso sulle possibilità di Sabahi, tuttavia il numero esiguo di voti che ha ottenuto pone grossi interrogativi sulla tenuta delle forze laiche e progressiste in Egitto.

Al Sisi ha ottenuto l’investitura che cercava per affermare il potere suo e dei militari che anche dopo le prossime elezioni legislative rimarranno la forza dominatrice in un paese che nell’ultimo anno ha visto processi sommari, centinaia e centinaia di condanne a morte, migliaia di arresti che non hanno colpito solo l’opposizione islamista ma anche tanti esponenti delle organizzazioni progressiste protagoniste della rivolta contro Mubarak. Unico neo in una giornata trionfale la percentuale dei votanti, bassa anche per il boicottaggio delle presidenziali attuato dai Fratelli Musulmani. Il sito del quotidiano al Ahram riferisce che l’affluenza non ha superato il 40%, con 21 milioni di votanti. Quando Morsi vinse le elezioni nel 2012 votò il 51,8% degli aventi diritto. L’estensione per un altro giorno delle votazioni e gli appelli a recarsi alle urne non hanno convinto la maggioranza degli egiziani.

Al Sisi, che in campagna elettorale ha puntato quasi esclusivamente su sicurezza e stabilità, ora è chiamato a guidare un paese in forte crisi economica, piegato sotto un ampio debito e dalla disoccupazione sopra il 13%.

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