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19/04/2014

Telecom e security. Un altro suicidio

La vicenda delle connessioni tra Telecom, servizi segreti e attività di intercettazione e spionaggio attraverso i sistemi dell'azienda, si è tinta di un nuovo suicidio tra gli uomini coinvolti in questa inchiesta.

Giovedì mattina si è suicidato a Roma Emanuele Insinna, 54 anni, responsabile della sezione che nel gergo aziendale viene definita “Segreto” e si occupa dei rapporti tra la rete di Telecom e le Forze Armate. Insinna è morto ieri lanciandosi da un terrazzo al quinto piano della sede Telecom di via Parco dei Medici, a Roma. Insinna è il responsabile dell’unità Security e in passato era uno stretto collaboratore di Giuliano Tavaroli, quest’ultimo coinvolto nell’inchiesta sulle intercettazioni abusive con patteggiamento di 4 anni e mezzo.

L'inchiesta Telecom ha avuto inizio alla fine del 2005 con una prima tornata di 21 arresti. I magistrati sono convinti che per anni alcuni soggetti all’interno di Telecom Italia, fra i quali l’allora capo della sicurezza Giuliano Tavaroli (che ha patteggiato la pena), ma anche investigatori privati e ufficiali delle forze dell’ordine, avrebbero messo in piedi un sistema di intercettazioni illegale svolgendo un’attività di dossieraggio. L’ipotesi degli investigatori è anche quella che gli spioni erano in contatto con settori dei servizi segreti.

Insinna era stato chiamato in causa da Giuliano Tavaroli, al quale il gip contestava il possesso di atti riservati dei servizi segreti. In quella sede Tavaroli ebbe a dichiarare: “Lo escludo. Cattive interpretazioni, cattivissime... Si tratta di documenti redatti da Emanuele Insinna, mio collaboratore nell'ufficio Telecom che si occupa del segreto di Stato”.

Emanuela Insinna era entrato in Telecom 14 anni fa, proveniente dalle Forze Armate. Un dettaglio non certo irrilevante che presenta alcune analogie con il suicidio di un altro dirigente della sicurezza Telecom: Adamo Bove, anche lui “suicidatosi” il 21 luglio 2006 a Napoli precipitando da un viadotto. Adamo Bove, era un funzionario di polizia poi passato in Telecom, dove diventò il capo della sicurezza in Tim e, come Insinna, stretto collaboratore di Giuliano Tavaroli.

Dietro i due suicidi due storie. Le prime testimonianze raccolte tra i colleghi di Insinna parlano di “una forte depressione dovuta a motivi familiari e all’impossibilità di stare vicino alle due figlie di 10 e 14 anni, una crisi diventata più acuta negli ultimi giorni, dopo una prima udienza di separazione dalla moglie”.

Da due mesi la coppia viveva separata, Insinna era tornato a vivere a casa della sorella e anche le sue condizioni di salute non erano ottimali: un anno fa era stato colpito da un infarto e solo a settembre era tornato a lavorare in azienda dove era stato confinato ad un lavoro burocratico, di gestione dei rapporti con i fornitori e di autorizzazioni, “in un certo senso un lavoro di terza fila”, spiegano fonti interne e Telecom.

Adamo Bove, invece non aveva problemi familiari né economici, ma attraversava un momento difficile legato alla sua collaborazione con la procura di Milano nell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar e il coinvolgimento del Sismi. Morì lanciandosi da un viadotto della tangenziale di Napoli. Ai primi di giugno, su alcuni quotidiani nazionali, erano apparsi articoli che associavano il suo nome alle coperture dell’intervento di “rendition” presso i servizi segreti. La sua morte pose fine alla collaborazione con la procura milanese, definita preziosissima dai magistrati inquirenti. Dopo due anni di indagini sul “suicidio” di Bova il pm Giancarlo Novelli chiese e ottenne dal gip di Napoli l’archiviazione del fascicolo su una presunta istigazione al suicidio.

A giugno 2013, Marco Tronchetti Provera, ex presidente di Telecom Italia, è stato condannato dal Tribunale di Milano a un anno e 8 mesi per ricettazione nel processo sul caso Kroll, che è uno dei filoni dell’inchiesta madre sui dossier illegali della Telecom, Tronchetti Provera dovrà effettuare un risarcimento disposto a favore di Telecom Italia pari a 900mila euro.

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