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24/02/2014

Imparare dal nemico

Chi ci legge con una certa assiduità sa benissimo cosa pensiamo di Grillo e del suo “movimento”. In sintesi, quello che ne pensano i Wu Ming: un movimento poujadista, trasversale, sempre più legato al mondo della piccola imprenditoria commerciante, con venature xenofobe e intriso di anarco-capitalismo selvaggio tipico di certe correnti tea party nordamericane. Un movimento che in questi anni è servito come camera di decompressione di alcune istanze del movimento di classe, depotenziandole e inserendole in un frame liberista, antistatale e pacificato (ad esempio, qui).

Bene, fatta questa premessa doverosa, non possiamo negare però la capacità di Grillo nel saper sottomettere agli interessi del M5S alcune dinamiche del mondo dell’informazione, una straordinaria capacità mediatica di saper fare opposizione, di farsi percepire dalla gente quale unica vera opposizione al sistema politico-economico presente in Italia e in Europa.  Nonostante tutto quello che pensiamo di lui e del suo “movimento”, il confronto avuto con Renzi qualche giorno fa dovrebbe essere analizzato per capire come si fa opposizione, come si sta nel circuito mediatico della politica costruendosi un rapporto di forza favorevole. Ci fosse una forza comunista capace di esprimere una rappresentanza parlamentare, questa dovrebbe insomma prendere a modello quel tipo di consultazione andata in diretta via streaming: non sei credibile, sei l’uomo delle banche e dei poteri economici, noi con te non parliamo. Soprattutto, noi con te non siamo democratici. Sei il nostro nemico e con te non è possibile alcun accordo di nessun tipo. Questo ha detto Grillo a Renzi, in faccia e in diretta, e questo dovrebbe essere quello che una forza comunista dovrebbe dire una volta conquistata la rappresentanza parlamentare. Non gli accordi sottobanco, i confronti sul programma, le tattiche elettorali con cui il sistema politico-economico di volta in volta coopta le forze “sovversive” di turno. Le esperienze di questi anni, nel campo della sinistra “radicale”, sono andate tutte nella direzione opposta a quella dimostrata da Grillo. Ministeri accettati, debolezze parlamentari, ogni tipo di cedevolezza sul piano dei programmi: ogni volta che la sinistra “radicale” (in sostanza, PRC e PDCI) è stata in Parlamento sempre si è associata alle logiche del centrosinistra di turno. Come non ricordare Rizzo&soci, che oggi favoleggiano di ritorni al PCI, appoggiare i governi di centrosinistra che bombardavano la Jugoslavia o portavano avanti la riforma delle pensioni, l’istituzione dei CPT o il pacchetto Treu?

Insomma, se Grillo ha qualcosa da insegnare ai movimenti di classe, questo è il rapporto tra movimento e mediaticità, e di come far parlare di sé senza mai essere manovrati dall’apparato di potere mediatico-politico. Che poi nel M5S questa abilità sia al servizio di cui sopra, non c’è dubbio, così come non c’è dubbio che una determinante quota di questa capacità mediatica sia dovuta alle ricchezze e alle conoscenze di un uomo da quarant’anni inserito in quel sistema, che ne conosce i gangli più oscuri e possiede entrature importanti capaci di saperlo orientare nelle sue esternazioni e comportamenti. Ma il concetto generale, e cioè che coi media non ci si parla se non da una posizione di forza, e che col mondo della politica parlamentare non ci si confronta se non per portare a casa punti politici, questo dovrebbe essere assunto in maniera determinante dai movimenti, che troppe volte in passato sono rimasti succubi di una cooptazione mediatica che molte volte ne ha triturato le istanze rimasticandole e reinserendole nel circuito dell’opinione pubblica in maniera distorta e pacificata. 

Oggi dobbiamo una volta di più imparare dal nemico.

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