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04/11/2013

The Low Cost Experience

Ho impiegato un'eternità a scrivere queste righe, segno che mi sto arrugginendo ma al contempo che l'oggetto di questa recensione è materiale tosto. Certamente non gioca a mio favore il fatto che questi Molotoy siano quanto di più lontano dai miei ascolti abituali possa esserci in giro. Tant'è sono comunque qui a scriverne, la prima domanda che mi sorge spontanea è "perché"? Prima di tutto perché da tre anni a questa parte sono alla continua ricerca di qualcosa che sappia arricchirmi e stimolarmi dentro, in quanto l'hard & heavy ha fisiologicamente esaurito la sua carica in questo senso, in seconda battuta perché questo disco mi ha colpito.
Mi ha colpito la copertina dai colori ammalianti come non vedevo dai tempi del mio primo approccio con i Control Denied. Mi ha colpito l'entusiasmo genuino con cui li ha descritti la ragazza che me li ha suggeriti. Mi ha colpito il fatto che le recensioni che ho trovato dicano sostanzialmente tutto e nulla su quest'album. Per una volta non mi sento di scagliarmi contro la pochezza dei recensori (che condivido di buon grado io stesso, non aspiro infatti ad assurgere allo status di Scaruffi di turno) in quanto parlare in termini oggettivi di questo album è praticamente impossibile. O meglio lo si può fare a livello tecnico, lodando la qualità delle registrazioni (vien da chiedersi perché gente alla prima pubblicazione faccia infinitamente meglio di personaggi come Maiden, Metallica e Sabbath che hanno ben altra esperienza e risorse economiche da spendersi in produzioni sopraffine) e soprattutto l'estro strumentale avanguardistico del quartetto. Avventurandosi sul lato artistico, invece, le cose si complicano e il giudizio più contestuale che mi è capitato di leggere è stato "post tutto". È già perché Low cost experience proprio non vuole instradarsi in una corrente definita e probabilmente questo è il suo maggior pregio.
Leggendo che il disco è ricco d'elettronica inizialmente mi aspettavo il consueto polpettone cacofonico a base di suoni da fotocopiatore Xerox, invece l'apertura affidata a Super attack, brano che strizza l'occhio ai Daft Punk da classifica, mi ha immediatamente condotto a più miti consigli. A questo punto era lecito attendersi un incedere del disco su ritmi a cavallo tra le produzioni più accattivanti del duo francese e sonorità che prestano il fianco ai Depeche Mode dei tempi andati, invece sono rimasto a bocca asciutta perché a partire dal secondo brano il disco conduce ad un'esperienza che dal sonoro diventa in maniera preponderante visiva.
Una delle impressioni che più si è cementata nel corso dei vari ascolti che ho dedicato a questo album è la sua spiccata predisposizione a prestarsi alla cinematografia. Le composizioni dei Molotoy, infatti, trovo si coniughino benissimo con pellicole ai limiti del surreale per situazioni, ma soprattutto fotografia, come La grande bellezza, o con più "scanzonati" lungometraggi alla Ocean's Eleven. Saranno mie allucinazioni ma in troppe occasioni, durante l'ascolto del disco, i suoni prodotti dai quattro romani mi figuravano la vista dell'entrata in scena di Clooney e soci in veste d'irresistibili canaglie intente ad espugnare il caveau del casinò di turno, o di Toni Servillo intento a passeggiare la notte con laconica noncuranza attraverso le strade solitarie e suadenti della Roma barocca.
In assoluto è in questi momenti che il disco da il meglio di se, risultando talmente convincente da produrre effetti allucinogeni sulla percezione della concretezza di chi ascolta (in questo senso trovo che i pezzi rendano a pieno se vissuti immergendosi nella realtà cittadina all'alba o all'imbrunire).
Fin qui tutto bene dunque. I nodi vengono, invece, al pettine quando si tenta di sviscerare il messaggio che l'album intende veicolare. Ammesso che ne abbia realmente uno, io non sono stato in grado di decifrarlo, magari per limite mio, magari perché effettivamente non c'è in quanto il disco non si pone alcuna velleità divulgativa, il che non è necessariamente un male anche se a me garba di più il contrario, soprattutto in tempi di sterilizzazione mentale di massa come quelli attuali.
La questione resta dunque insoluta e per dipanarla sarebbe necessario un confronto diretto con gli autori delle composizioni (in rete le note biografiche scarseggiano...) anche solo per capire com'è nato un pezzo critico come Magical history soup di cui scommetto in pochissimi saranno in grado di cogliere al volo le citazioni!
Credo si sia capito, ma arrivato alla chiusura penso vada specificato, che il disco è quasi completamente strumentale e che, banalmente, vada ascoltato anche soltanto per chiedersi come mai gente con queste capacità sia praticamente sconosciuta. L'italianità che cozza col proverbiale provincialismo nostrano per cui è "figo" soltanto ciò che proviene da oltreconfine, non credo sia sufficiente a spiegarlo.

1 commento:

  1. Wow, finalmente son riuscito a leggere questa recensione! (...ma quale ruggine... questa è una delle migliori che tu abbia mai scritto!).

    Trovo davvero azzecatissimo il passaggio quando dici "i pezzi rendano a pieno se vissuti immergendosi nella realtà cittadina all'alba o all'imbrunire". Very good!

    Davvero una grande scoperta. Complimenti ai Moloty, a te, e alla collega che te li ha pubblicizzati!

    Ma torniamo a noi: cosa aspetti ad ascoltarti i Daft Punk (specialmente Discovery, il loro capolavoro a mio parere). Vedrai che la finirai di prendermi per i fondelli!

    Facilito il compito. Sit down... relax e beccati questo capolavoro... dimmi un po' se non ha tutte le carte in regola per farti sognare. ENJOY!



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