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27/11/2013

La Libia affonda nella violenza, Eni ottimista

Decine di morti, quasi ogni giorno, eppure Paolo Scaroni, l'amministratore delegato dell'Eni guarda con ottimismo al futuro della Libia. «La costruzione delle istituzioni libiche ha un percorso più lento di quello che avevamo sperato ma sono relativamente ottimista», non a breve termine, «tra un mese o tre mesi» ma «a medio termine», ha detto Scaroni a margine del vertice italo-russo. Il cane a sei zampe, si sa, guarda alla Libia con occhi (e interessi) ben diversi da quelli della popolazione che quotidianamente deve fare i conti con le «eroiche milizie della rivoluzione anti-Gheddafi» e che oggi dettano legge nelle strade del Paese.

Ieri a Bengasi, la «capitale» dell'est della Libia, accogliendo l'appello alla «disobbedienza civile» lanciato dai consiglieri comunali, gli uffici amministrativi e le scuole sono rimasti chiusi, insieme a banche e negozi. A testimoniare la richiesta di sicurezza della popolazione che chiede il ritiro delle milizie armate dopo i sanguinosi combattimenti del giorno prima, con 14 morti e decine di feriti, tra l'esercito «regolare» e i jihadisti del gruppo salafita Ansar al-Sharia. È il gruppo qaedista accusato dell'attacco del settembre 2012 al consolato Usa in cui morirono quattro americani, tra cui l'ambasciatore Chris Stevens.

L'Esercito è stato dispiegato nei quartieri più sensibili. Ma nessuno si fa illusioni, le milizie sono forti e godono di appoggi ovunque, grazie anche agli enormi interessi che genera la produzione del petrolio. Ed inoltre chi spinge per la separazione di Bengasi da Tripoli e per l'«indipendenza» della Cirenaica punta proprio sul caos per velocizzare la frantumazione della Libia. Il governo di Ali Zeidan prova a riprendere il controllo del Paese e intende integrare le milizie nell'esercito regolare. Il tentativo ha dato finora scarsi risultati.

Nove giorni fa miliziani di Misurata avevano ucciso decine di abitanti nella stessa capitale Tripoli durante una manifestazione che chiedeva il ritiro dei gruppi armati dalla città. E la violenza genera continue emergenze sociali. Sarebbero più di 65 mila i rifugiati interni, in fuga dagli attacchi o portati via dalle milizie. Il mese scorso Amnesty International ha denunciato che intere comunità, come gli abitanti di Tawargha o la tribù dei Mashashya di Sirte e Bani Walid, sono soggette a rappresaglie, discriminazioni, torture ed esecuzioni sommarie dalle milizie; tra gli abitanti di Tawargha ci sarebbero 1.300 scomparsi nel nulla. In molti casi i rapiti sono accusati di aver sostenuto Gheddafi.

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