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22/11/2013

Genova in rivolta

Il principale quotidiano genovese, Il Secolo XIX, questa mattina ha aperto la sua edizione con un titolone ad effetto: «A Genova comanda la piazza». Si parla di scene mai viste, di una contestazione del sindaco Marco Doria costretto ad abbandonare la sala consigliare, rappresentanti del PD scortati dai vigili urbani. Insomma la furia dei lavoratori degli autotrasporti con il loro sciopero selvaggio e senza regole scompagina la routine istituzionale e le buone maniere di una città in pieno declino, un declino di cui le sue classi dirigenti sembrano non accorgersi. Il quotidiano genovese con il suo stupore e condanna incarna una sorta di riflesso condizionato nei confronti delle cosiddette “classi pericolose”. Quelle che subiscono passivamente ogni giorno l'apparente teatrino della politica e i ben più sostanziali rapporti socioeconomici asimmetrici. Quelle classi che a lungo non si vedono e che proprio in considerazione dell'asimmetria dei rapporti di forza sedimentati nelle istituzioni, nella cultura, nella società, quando devono esprimere il loro punto di vista, dettato dalla sopravvivenza, irrimediabilmente in contrasto con i poteri dominanti, lo fanno a modo loro, senza badare alle maniere e, soprattutto, con la determinazione che gli impone il loro ruolo estraneo e subalterno. Le istituzioni coercitive vigenti non lasciano alle classi pericolose il dialogo e il confronto, ma obbligano allo scontro. Non esistono relazioni industriali, ma solo rapporti di forza, dicono i francesi.

Ma torniamo ai fatti. La giunta Doria, quella che fece parte della cosiddetta primavera arancione dei sindaci, da tempo ha optato di far fronte ai problemi di bilancio e di debito con la privatizzazione di tutte le società partecipate del comune. Nessun sindaco targato Pd aveva mai fatto tanto. Si privatizzerebbero così azienda dei trasporti, quella della nettezza urbana, quella dei servizi alla manutenzione, le farmacie, ecc.. Fin da subito si è manifestata una decisa opposizione dal basso costituita dai lavoratori coinvolti da un lato e dall'altro il Forum dei beni comuni, un organismo di cittadinanza attiva composto da 22 tra comitati e associazioni, tra le quali Attac, Forum per una finanza pubblica, Comitati no-tav e no-gronda, ecc.. Questa duplice spinta sindacale e sociale da principio ha condannato in maniera convinta le politiche di rigore dettate da criteri di bilancio fatte proprie dall'amministrazione. Da tempo i comitati e le associazioni hanno tentato di costruire un ponte verso i lavoratori e verso la società per le ovvie ricadute che tali provvedimenti avrebbero avuto sulla città, sulla sua evoluzione. Trasporti, rifiuti, sanità, manutenzioni, tutti temi strategici per la vivibilità di qualsiasi aggregazione umana contemporanea. Non solo. Per quanto riguarda i trasporti in passato c'è stato un precedente di privatizzazione parziale fallito, con il conseguente ritorno al pubblico dell'intera azienda dei trasporti. Perseverare è diabolico. Soprattutto per dei servizi che per produrre profitti non solo dovrebbero essere privatizzati, ma anche scorporati per rendere appetibili al privato unicamente quei segmenti di largo uso. E poi lasciare a languire i servizi in perdita, quelli di nicchia, quelli periferici, insomma quelli di maggior interesse sociale. Per non parlare di come privatizzare implichi abdicare al governo della politica nella sfera dei trasporti, dell'inquinamento, in definitiva a un'idea della città.

Così si è giunti alla giornata di ieri. Ai blocchi, allo sciopero selvaggio riuscito al 100%, all'assedio fino a sera della sala del Consiglio comunale. Per oggi gli autoferrotranvieri hanno deciso durante l'occupazione il secondo giorno consecutivo di sciopero totale. Cortei. L'esito dello scontro non è scontato. Quello che è certo è che il protagonismo sociale, la mobilitazione radicale e dal basso sono l'unica strada possibile per realizzare il cambiamento. La politica, anche quella con le migliori intenzioni, non può che andare a rimorchio.


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