Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

23/10/2013

Due anni dopo uccisione Gheddafi, Libia sempre nel caos

La Libia, giunta al suo secondo anno di "transizione", ha festeggiato a modo suo l'anniversario della dichiarazione di vittoria sull'esercito di Gheddafi, seguita alla cattura e all'uccisione del Rais nelle strade di Sirte: frotte di ex-combattenti ormai disabili hanno fatto irruzione ieri nel Parlamento di Tripoli, occupandolo e vandalizzandone una parte.

Il deputato Mohammed al-Khalil al-Zarruq ha dichiarato che il gruppo, proveniente dalla città cirenaica di Ajdabiya - teatro di una delle battaglie più sanguinose della guerra libica - è entrato nella camera del Congresso quando era vuota, lamentando un "nuovo assalto alle istituzioni". Assalto che arriva a due settimane dal rapimento-lampo del premier Ali Zaidan, prelevato in pigiama e pantofole dalla sua camera d'albergo da un gruppo armato e rilasciato qualche ora dopo.

Il gruppo che ha rivendicato il rapimento, ovvero la Camera dei Rivoluzionari di Libia, è un puntino nella galassia delle milizie che, dopo la caduta di Gheddafi, hanno rifiutato di consegnare le armi e sono quindi state delegate dal nuovo governo - chi più chi meno - a espletare varie funzioni relative alla "sicurezza": scorta, guardie, polizia, e perfino militari, dato che la voluta debolezza dell'esercito addestrato da Gheddafi - in un mondo arabo in cui l'esercito continua ad avere un ruolo preponderante nella società - non lasciava speranze di poter rinascere dalle sue ceneri.

Il governo libico, nominato lo scorso anno e sostenuto dalla Nato, tra i suoi compiti si era prefisso quello di riportare la sicurezza nel Paese togliendo le armi alle brigate di ex-combattenti: un compito alquanto arduo, per un esecutivo che non riesce neanche a mettere piede fuori dall'aeroporto di Benghasi, seconda città libica completamente in mano alle milizie della zona. Dopo il rilascio, infatti, il premier si era recato nella capitale della Cirenaica, dove era stato costretto a tenere una conferenza stampa nella sala d'attesa dell'aeroporto - a detta sua"organizzata lì" - a causa di alcuni gruppi armati che assediavano l'aeroscalo.

Un esecutivo che però permette a Stati terzi di violare la sua sovranità per prelevare presunti terroristi, com'è accaduto all'inizio del mese, quando con un blitz le forze statunitensi hanno catturato Abu Anas al-Liby, accusato da Washington di essere la mente dietro gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e in Tanzania che nel 2000 costarono la vita a 224 persone. Zeidan, che non ha confermato di essere a conoscenza del blitz - se non di aver aiutato l'alleato Usa - non ha neppure smentito.

Un fallimento, quello dell'attuale governo, che rischia di trascinarsi per anni. Con la produzione e l'esportazione di petrolio a intermittenza ormai da mesi - e impossibilitata a riprendere regolarmente a causa del controllo delle milizie in Cirenaica, dove si trova la maggior parte dei giacimenti libici - l'economia stenta a ripartire del tutto.

Ma oltre al disastro economico e politico, la Libia affronta anche quello sociale: ci sarebbero infatti più di 65 mila rifugiati interni, costretti a fuggire dagli attacchi o portati via dalle milizie per la loro presunta affiliazione con Gheddafi. Amnesty ha denunciato oggi che intere comunità, come gli abitanti di Tawargha o la tribù dei Mashashya di Sirte e Bani Walid, sono soggette a rappresaglie, discriminazioni, torture e persino esecuzioni sommarie dalle milizie che regnano ora nel Paese, specialmente da quelle stanziate a Misurata, la città forse più duramente colpita dalla guerra. In particolare tra gli abitanti di Tawargha ci sarebbero 1.300 desaparecidos. "Le richieste di giustizia dei residenti di Misurata - ha dichiarato Hassiba Hajj Saharawi, direttore aggiunto di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa - per i crimini di guerra sono giustificate, ma la giustizia non può essere selettiva e un'intera comunità non può essere punita collettivamente".

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento