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25/09/2013

Merkel, niente festa in Borsa

di Carlo Musilli

Nessuna storia d'amore è fatta solo di passione, nemmeno quella fra Angela Merkel e i mercati finanziari. Ieri le Borse europee non hanno festeggiato la terza rielezione della cancelliera. Anzi, hanno chiuso tutte in rosso: Francoforte -0,47%, Parigi -0,75%, Londra -0,59% e Milano -0,32%. Gli scossoni non sono arrivati nemmeno sul mercato obbligazionario, dove si è assistito a un lieve calo dei tassi: il rendimento sul Bund decennale tedesco è all’1,92%, quello sui Btp di pari scadenza al 4,26% (-2 punti base), con lo spread che ha chiuso a quota 234, sui minimi dell’ultimo mese. La mancanza di euforia, in ogni caso, non significa che gli investitori abbiano disprezzato il risultato elettorale tedesco.

Il trionfo di frau Merkel - che pure avrà difficoltà a formare il governo, vista la debacle dei suoi storici alleati liberali - era ampiamente atteso e i mercati lo avevano già assorbito la settimana scorsa, all'indomani delle elezioni in Baviera. Il voto locale aveva sancito la netta vittoria del partito della cancelliera (un evidente buon auspicio in vista della prova nazionale) e l'indice Dax di Francoforte aveva risposto toccando un nuovo record storico oltre la soglia degli 8.600 punti.

Anche in quel caso, tuttavia, l'attenzione delle Borse non era rivolta principalmente a Berlino. In questi giorni al centro della scena è la Federal Reserve, che deve prendere una decisione sul temutissimo "tapering", ovvero la fine del "Quantitative easing" (Qe), il pacchetto di stimoli economici garantiti dalla Banca centrale americana.

Nelle scorse sedute i mercati avevano apprezzato la decisione dell'ex segretario al Tesoro Larry Summers di ritirarsi dalla corsa alla successione di Ben Bernanke alla guida della Fed. Un passo indietro che sembrava spianare la strada a Janet Yellen, favorevole al mantenimento del Qe o eventualmente a una sua riduzione molto graduale.
Venerdì però James Bullard, presidente della Fed di St. Louis, aveva lanciato il seguente avvertimento: "Non è escluso il tapering a fine ottobre, se i dati sulla disoccupazione lo permetteranno". Parole che hanno pesato ieri sull'andamento dei mercati, insieme al calo degli indici Pmi sulla manifattura (a settembre il dato dell'Eurozona è sceso a 51,1 punti, dai 51,4 di agosto).

Insomma, i fattori in gioco sono diversi, ma ciò non toglie che quella fra Angela e la Borsa (soprattutto tedesca) sia una storia d'amore ormai di vecchia data. Dal novembre 2005, vale a dire da quando frau Merkel è diventata cancelliera, l'indice di Francoforte ha guadagnato il 68% (mentre l'Euro Stoxx 50 ha perso il 15%) e i detentori dei Bund hanno accumulato interessi complessivi per il 40%.

Finanza e economia reale, tuttavia, non sono affatto la stessa cosa. Agli operatori finanziari il rigorismo made in Merkel piace in primo luogo perché offre occasioni di speculazione. Poco importa che ciò avvenga a danno di altri Paesi, cosiddetti periferici, che dalle cure di Angela hanno ottenuto finora soltanto il prolungamento della recessione (come Italia e Spagna), quando non la completa barbarie sociale (come la Grecia).

Purtroppo il pugno duro non piace solo agli speculatori, ma anche (e molto) agli elettori tedeschi, al punto che dopo il successo del fine settimana la cancelliera si è sentita obbligata a ribadire la sua professione di fede, sottolineando che in futuro non ci sarà "alcuna necessità di modificare le politiche europee della Germania". Berlino si muoverà "come sempre", ovvero anteponendo le politiche di aggiustamento dei conti a quelle di stimolo alla crescita. D'altra parte, perché mai cambiare qualcosa, se il comportamento tenuto fin qui ha garantito una rielezione a furor di popolo?

Di ragioni, in verità, ce ne sarebbero molte, a cominciare dall'interesse degli stessi elettori tedeschi. L'austerità colpisce anche loro, perché il mercato interno si sta restringendo e le esportazioni calano, danneggiate dalla recessione prolungata di molti partner commerciali europei, Italia compresa. Prima o poi se ne accorgeranno. Peccato non lo abbiano fatto domenica.

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