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21/08/2013

La partita segreta dello spread

di Carlo Musilli

Capita mai di dimenticare un problema? Nella vita quotidiana è difficile, ma all'opinione pubblica succede quasi ogni giorno. Dello spread, ad esempio, ci siamo scordati. Lui però è ancora lì e a guardarlo oggi quasi non ci si crede. Continua a calare. Lunedì è sceso sotto la soglia psicologica di 250, fino a 244 punti base, ovvero il livello più basso dal luglio del 2011.

Ormai è lontano anni luce dalla vetta siderale raggiunta alla fine dell'ultimo governo Berlusconi - quando toccò il massimo storico di 575 - e si posiziona ben al di sotto anche della cosiddetta "quota Monti", quei 287 punti fissati come obiettivo dal Professore (la metà della "quota Berlusconi"). Si avvicina anzi a quello che secondi vari analisti dovrebbe essere lo "spread naturale" del nostro Paese, circa 200 punti base.

Ora non rimane che capire come sia possibile. Quale drastico cambiamento, quale straordinario episodio ha convinto gli investitori a fidarsi nuovamente dell'Italia? A favorire la discesa di ieri è intervenuta senz'altro un'asta positiva di Bot da parte del Tesoro, oltre al surriscaldamento del tasso del Bund tedesco (salito dal 22 luglio scorso di oltre 20 punti base).

Allargando lo sguardo agli ultimi mesi, tuttavia, sono altri i fattori da tenere in considerazione: a giugno l'Ue ha chiuso la procedura d'infrazione per deficit eccessivo nei nostri confronti, abbiamo varato un programma per iniettare 40 miliardi nel sistema delle imprese (pagando in parte i debiti della Pa) e secondo tutte le previsioni alla fine dell'anno inizierà una lenta ripresa che ci porterà timidamente fuori dalla recessione nel 2014. Allo stesso tempo, però, la disoccupazione è ancora fuori controllo, i consumi non ripartono, il credit crunch continua a mordere e la situazione politica tragicomica ha spinto fin qui il nuovo governo a rimandare tutti i provvedimenti più importanti in agenda.

Dati di questo tipo sono certamente importanti, ma rappresentano solo la parte visibile dell'iceberg. E quella dello spread è una partita che si gioca in gran parte sotto il pelo dell'acqua, nell'oceano di una finanza scarsamente interessata all'economia reale. Per chi investe nei Btp conta di più lo stato dei nostri conti pubblici (che oggi, almeno sul fronte del deficit, sono formalmente tra i migliori dell’Eurozona) e la rassicurante presenza della Bce.

Dopo aver inondato di liquidità il settore bancario, l'Eurotower ha scaricato la pistola in mano agli speculatori promettendo interventi calmieranti sugli spread in caso di pressione eccessiva da parte dei mercati. Ed è inutile montarsi la testa: è stata questa mossa di Mario Draghi a far scomparire la parola "spread" dai titoli dei giornali.

Ora, fatta salva una certa volatilità ineliminabile, gli spettri delle tempeste finanziarie incontrollate si sono allontanati. Gli investitori internazionali hanno iniziato a rendersi conto che i titoli di Stato dei Paesi periferici dell'Eurozona - Italia e Spagna su tutti - possono essere dei buoni affari, dal momento che garantiscono tassi d'interesse ancora piuttosto alti (i rendimenti sui nostri decennali rimangono superiori al 4%) a fronte di un rischio meno angosciante rispetto al passato (per quanto ci possa sembrare assurdo, restiamo comunque una delle principali economie del pianeta).

Inoltre, dal 2010, il rendimento dei Bond di molti Paesi emergenti si è ridotto e solo il debito di emittenti quasi in default (come l’Argentina) paga tassi superiori al 10%. Un quadro che ha contribuito ad aumentare ulteriormente l'appeal dei titoli italiani.

L'altro tassello fondamentale del puzzle è la liquidità. Da dove arrivano gli investimenti sui titoli di Stato dell'Europeriferia? I mercati che al momento dispongono di maggiori risorse sono quelli di Stati Uniti e Giappone, dove le politiche fortemente espansive della Federal Reserve e della Bank of Japan hanno liberato capitali buoni anche per investimenti oltreoceano.

Nelle ultime settimane uno dei massimi timori sui mercati è proprio che la Banca centrale americana possa ridurre o addirittura avviare a chiusura il programma di stimoli. Una mossa forse ancora prematura, ma che prima o poi arriverà e avrà un effetto inevitabilmente negativo anche sul nostro spread.

Per il momento, tuttavia, l'Italia dovrebbe approfittare dei minori rendimenti che è costretta a pagare sul debito e utilizzare le somme risparmiate per cercare di rianimare l'economia reale. Lo scollamento paradossale è proprio questo: anche se il nostro Paese riuscisse nell'impresa di risollevarsi, in futuro il differenziale potrebbe comunque tornare a salire. E a quel punto ne torneremo a sentir parlare.


Fonte

Un articoletto piuttosto banale che però esplica bene un concetto: quello dello spread come l'andamento della finanza tutta è una gigantesca presa per il culo rispetto all'economia reale in cui le persone normali si dibattono ogni giorno e quest'ultima, non fa altro che peggiorare, con buona pace dello spread che scende.

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