Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

29/07/2013

Intervista al ricercatore Florent Marcellesi “Dire che si tornerà alla crescita significa mentire e produrre frustrazione”

Natalia González de Uriarte

L'autore del libro “Addio alla crescita. Viver bene in un mondo solidale e sostenibile”, Florent Marcellesi ritiene che la decrescita non sia un'utopía, lo è invece pensare che si possa andare avanti al ritmo di consumo e produzione imposto dal capitalismo. Questo attivista e ricercatore, che è stato membro della commissione promotrice di Equo, ha presentato a Vitoria, nell'ambito di giornate organizzate da Equo Araba, la sua ultima pubblicazione. Nella quale descrive la crescita come un fattore di crisi, una minaccia per il pianeta e un ostacolo per il benessere. Il ricercatore, partendo dal rifiuto dell'austerità punitiva, disegna, insieme ai coautori dell'opera - Jean Gadrey, economista e membro del consiglio scientifico di ATTA Francia e Borja Barragué, ricercatore dell'Università autonoma di Madrid - una società di piena occupazione con un alto livello di protezione sociale per tutte le persone e nell'ambito dei limiti ecologici del pianeta. Assicura che "non si tornerà sulla strada della crescita" e che trasmettere questo messaggio ai cittadini significa "mentire e generare frustrazione".

Domanda: Lei propone di consumare meno per vivere meglio in un momento in cui questo suggerimento è difficile da dare ai cittadini che quasi non dispongono delle risorse per vivere alla giornata. È consapevole che questo consiglio può infastidire qualcuno?
Risposta. Sì. Pienamente. Ma è proprio per questo motivo che lo sosteniamo, per farla finita con queste ingiustizie. Nel libro poniamo come priorità per la grande transizione ecologica e sociale l'occupazione e la redistribuzione della ricchezza e del lavoro. Proprio tenendo conto che c'è molta gente che se la passa malissimo, dobbiamo creare vie d'uscita tramite l'ecologia mediante la promozione e la valorizzazione di posti di lavoro verdi. Oltre ad avere la capacità di generare lavoro tra moltissima gente servono per riorientare il modello produttivo verso un altro nel quale siamo capaci di generare attività sostenibili. Rispetto alla distribuzione della ricchezza, le assicuro che se seguissimo le proposte che noi indichiamo molta gente vivrebbe meglio. I miglioramenti arriverebbero al 90% della gente. Solo 1% della popolazione vedrebbe ridursi il salario, e sono quelli che guadagnano di più.

D. Molti credono che i suoi postulati siano una mera utopia perché non hanno alcun avallo scientifico. Hanno ragione?
R. No. Si sbagliano in pieno. La decrescita non è un'utopia, lo è invece pensare che possiamo continuare su questo ritmo di consumo che impone il capitalismo. E tornare sulla strada della crescita come pretendono significa pane oggi e fame domani, perché la crescita ci porta al collasso ecologico, alla crisi energetica, alimentare e climatica, a tutte e tre contemporaneamente. E questo lo stiamo vivendo. Dobbiamo cercare vie d'uscita che evitino il collasso sociale e quello ecologico e che permettano una prosperità senza crescita dove la ricchezza, il benessere e la piena occupazione non dipendano dalla crescita. Inoltre è un errore politico comunicare alle persone che torneremo alla crescita perché è impossibile. Significa mentire ai cittadini e generare frustrazione.

D. Allora non supereremo questa crisi com'è successo con le precedenti?
R. No. I livelli registrati negli ultimi 50 anni mostrano una progressiva decadenza strutturale dei tassi di crescita. Tra gli anni '60 e '80 avevamo tassi di crescita dell'8% e ora di meno dello 0,1. Stiamo uscendo da una breve epoca della storia umana, molto breve, di circa 50 anni dove tutta l'economia si basava sulla crescita, sullo sfruttamento brutale delle risorse naturali e della manodopera. Tutto questo è finito perché abbiamo già esaurito le risorse. Non abbiamo energia sufficiente per tornare ai valori anteriori alla crisi. Quei tempi non torneranno mai. Non può accadere né a livello fisico, né ecologico né energetico. È impossibile. Si passerà a uno stadio diverso.

D. Quali sono i rischi che implica continuare con le politiche di tagli indicate dall'Europa?
R. Le grandi disuguaglianze protratte nel tempo portano senza rimedio a gravi conflitti sociali. Abbiamo esempi attuali dai quali possiamo imparare come quelli aperti in Egitto, Tunisia, Siria e Libia. Le rivolte arabe sono provocate da crisi alimentari, perché la gente non ha accesso al minimo per poter mangiare. Perché? Perché c'è una crisi energetica e sale il prezzo del petrolio. E c'è una crisi alimentare perché ci sono cattivi raccolti. Invece di terre per alimentare le persone sfruttano le terre per alimentare le auto. La gente non ha accesso nemmeno ai campi, tutti orientati al mercato estero. È una polveriera alla quale stiamo contribuendo.

D. E per rovesciare il capitalismo imperante da così tanto tempo da dove si comincia?
R. Si comincia cambiando le priorità. Bisogna cominciare abbandonando il patto per i tagli e il patto per la crescita per concordare la transizione sociale ecologica. Si deve lavorare su tre versanti. Il primo è puntare a un lavoro verde e dignitoso. La OIT, Organizzazione Internazionale del Lavoro, ci dice che in vista del 2020, se scommettiamo veramente sul lavoro verde si possono creare fino a un milione di posti di lavoro in Spagna e fino a centomila nei Paesi Baschi. In secondo luogo è imprescindibile modificare la distribuzione della ricchezza e del lavoro. Con il reddito che abbiamo raggiunto è inconcepibile a livello morale, politico ed economico che ci sia una sola persona che non veda soddisfatti i suoi bisogni fondamentali. Per farla finita con questo dobbiamo dotarci di un reddito minimo di cittadinanza e allo stesso tempo mettere dei limiti con un reddito massimo. Se vogliamo ridurre l'impatto economico dobbiamo ridurre anche l'impatto che hanno le persone più ricche. Ed è necessario anche redistribuire il lavoro perché queste formule permettono di creare lavoro senza crescita, cioè di produrre la stessa quantità di cose ma con più persone lavorando meno tempo. A questo beneficio se ne aggiunge un altro: proteggere il pianeta. Riducendo la giornata lavorativa si concede tempo ai cittadini per realizzare più attività sostenibili, curare un orto, andare in campagna, cucinare… Non vivere per lavorare e consumare ma lavorare per vivere e soddisfare i propri bisogni fondamentali. E infine, bisogna lavorare sul pilastro democratico. Siamo noi cittadini che dobbiamo definire quali sono i bisogni fondamentali e quali quelli superflui. Dobbiamo scegliere, se non vogliamo che scelga un potere lontano. Dobbiamo gestire una democrazia dell'autolimitazione, essere capaci di decidere come e perché vogliamo lavorare, produrre e consumare. E una volta deciso questo dobbiamo impostare il tipo di relazioni sociali e politiche che creeremo.

D. Questa trasformazione implica l'abbandono di certi settori produttivi a favore del lavoro verde. Le grandi multinazionali lo permetteranno?
R. Sì, possiamo imporci. Bisogna lottare dal basso. Abbiamo molto più potere di quanto pensiamo nelle nostre mani, dobbiamo usarlo. È possibile cambiare il sistema. E in realtà questa acquisizione di potere si sta già verificando. Proliferano le cooperative energetiche, di finanza etica, abitative, di produzione e consumo… sono esempi di un potere economico reale di partecipazioni che stiamo esercitando in parallelo ad altri imperanti. Queste iniziative stanno crescendo e rappresentano un altro modo di vedere l'economia con valori di uguaglianza, partecipazione, ecologia e autonomia. Ma questo, di per sé, non è sufficiente perché queste azioni sono isole. Dobbiamo avere la capacità di tessere reti tra loro perché formino paesi e continenti. Fare un salto di qualità. Non aver paura e imporre un sistema politico e sociale che introduca il cambiamento all'interno delle istituzioni e allo stesso tempo modifichi le istituzioni in stesse. E' l'unico anello che manca in questa catena ed è capace di rovesciare completamente tutto questo e mettere un freno ai mercati, alla speculazione finanziaria e a tutti i problemi ambientali che non hanno frontiere. E l'Europa ha la capacità di lottare contro i paradisi fiscali, che sono, precisamente, basi per le multinazionali.

D. E la società è preparata?
R. C'è sempre più gente che la pensa diversamente. Gli stessi lavoratori del settore auto o del turismo di massa, per esempio, vedono che non hanno futuro. Si stanno mettendo in contatto con noi sindacati come ELA perché i loro lavoratori sono coscienti della prospettiva nulla di alcune professioni e chiedono formazione sull'ecologia del sociale. Inoltre le maggioranze non sono imprescindibili. I cambiamenti si possono avere a partire da molte minoranze. Non bisogna credere che la gente che governa sono maggioranze. Non lo sono. Siamo governati da minoranze, il famoso 1%. Ci sono molti più interessi in comune tra il rimanente 99%. Questo non vuol dire che non dobbiamo superare mentalmente molti ostacoli che abbiamo posto noi stessi, ma siamo in un momento di opportunità che non avevamo da molto tempo. La crisi, nonostante tutto il male, è un momento di grande opportunità per tutti. È un'occasione straordinaria a livello di alternative reali. Dobbiamo approfittarne per un rovesciamento. Dobbiamo giocare questa partita.

D. Che ruolo gioca l'educazione in questo processo che lei propone?
R. Un ruolo vitale. Bisogna abbracciare tre ambiti, quello dell'educazione, quello della comunicazione e sensibilizzazione e per ultimo, l'emancipazione. L'ambito educativo deve incidere su due versanti. Uno verso i bambini e l'altro verso gli adulti. Il lavoro nella formazione continua è importantissimo. Allo stesso tempo si devono sviluppare programmi di sensibilizzazione, perché c'è una parte importante della popolazione che non crede che ci sia una crisi ecologica e ancora meno a livello sociale. Qui abbiamo un lavoro in sospeso. E sul terreno dell'emancipazione dobbiamo assumere che abbiamo il potere di agire sul sistema, potere per fare cose che finora ci venivano date o imposte. Il semplice fatto di coltivare il tuo orto, imparare a trattare i vegetali e ricavare alimenti senza passare per il supermercato ti rafforza, ti motiva e ti convince che puoi eludere il sistema.

D. Abbiamo tempo per combattere il collasso ecologico?
R. Sì, se siamo capaci di provocare cambiamenti sia strutturali che di mentalità in 15 o 20 anni, perché la crisi ecologica gioca contro di noi.

D. È necessario il supporto dei partiti politici per realizzare questi cambiamenti?
R. Sì. Dobbiamo pensare alternative politiche a questo livello. Vedere su quali movimenti possiamo contare per fare questo salto di qualità e cercare accordi di massima tra loro perché la soluzione della crisi che abbiamo verrà solo a partire dall'ecologia. Un partito politico che non includa nel suo DNA questa visione della fine della crescita non può essere un soggetto di trasformazione. Né il PP né il PSOE lo hanno all'interno del loro discorso, né nel loro pensiero né nei loro geni. Non possiamo aspettarci nulla da loro.

Fonte: www.eldiario.es/norte/euskadi/alava/utopia-podemos-continuar-impuesto-capitalismo_0_150135641.html

Traduzione per Senzasoste Andrea Grillo, 25 luglio 2013

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento