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23/07/2013

Il fallimento non sindacabile di Napolitano

Il 23 giugno del 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un indirizzo all’assemblea della Confcommercio, poneva come priorità la riduzione del debito pubblico e a tal fine la rigorosa applicazione dei vincoli europei.

Allora il debito era pari a circa il 120% del PIL.

Dopo due anni di politiche di austerità in applicazione dei vincoli europei, attuate da governi promossi e sostenuti dal Presidente della Repubblica, il debito pubblico è al 130% del PIL, quasi 150 miliardi in più.

Questo dato è accompagnato da un milione e mezzo di disoccupati in più, dal calo brutale dei redditi e dei consumi, da una crisi che non accenna minimamente a finire, contrariamente alle chiacchiere di Visco e Saccomanni. La stessa caduta dello spread e degli interessi perde effetto di fronte alla crescita complessiva del debito. Unico dato positivo la Borsa, dove la speculazione ha fatto plusvalenze del 30%, nonostante la caduta dell'economia reale, creando così le premesse per una nuova bolla pronta ad esplodere.

Se Giorgio Napolitano fosse formalmente il capo del governo, un simile clamoroso fallimento rispetto ai suoi stesi propositi lo porterebbe a dover rendere conto. Ma come, imponi duri sacrifici per ridurre il debito, e poi il debito aumenta? Quale capo del governo potrebbe continuare tranquillamente di fronte ad una tale smentita delle sue scelte?

Ma Giorgio Napolitano, non è il capo del governo, è il Presidente della Repubblica che rappresenta l’unità della nazione. Le sue responsabilità non esistono, anche se tutti sappiamo che Monti e Letta hanno governato e governano in virtù del sostegno esplicito e a volte brutale del Quirinale.

Ma non è finita qui, perché tutte le istituzioni politiche italiane a loro volta fanno derivare le loro decisioni economiche dai vicoli europei.

Il 4 agosto del 2011 Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, e Trichet, allora presidente della BCE, inviarono al governo Berlusconi una lettera che definiva quasi in dettaglio il programma delle politiche di austerità. Tremonti, Monti e Letta hanno seguito scrupolosamente quel copione. A cui si sono aggiunti gli ulteriori vincoli del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio costituzionalizzato. Tutti sostenuti con la massima forza dal presidente Napolitano.

Il parlamento e i principali partiti di governo, ma anche quelli comunque legati al carro del centrodestra e del centrosinistra, hanno solo potuto ratificare decisione già prese e imposte in altre sedi.

Così, mentre il teatrino del nulla dei partiti imperversa nel circuito mediatico, le decisioni vere sono assunte e sostenute da sedi formalmente irresponsabili. Non vorremo mica uscire dall’Europa, non vorremo mica infrangere l’unità della nazione!

Il Parlamento, unico responsabile di fronte ai cittadini, diviene in realtà privo di responsabilità, non può decidere neppure sugli F35, ha ricordato recentemente il Quirinale. E il presidente del Senato ha fermamente rimbeccato un senatore 5 stelle che ha accennato al ruolo del Capo dello Stato.

La nuova legge di bilancio questo autunno sarà varata da un parlamento privo di potere, perché la Commissione Europea potrà intervenire e cambiare le poste, se queste non corrisponderanno ai vincoli del fiscal compact e di tutti gli altri patti europei per l’austerità.

Così questa politica fallimentare andrà avanti perché i suoi veri titolari, la Troika europea ed i Presidente della Repubblica, sono formalmente insindacabili.

Su questa finzione istituzionale affondano l’economia e la democrazia del nostro paese.

È bene allora che le mobilitazioni che finalmente si annunciano per l’autunno si rivolgano non solo verso il governo e i suoi impresentabili partiti, ma verso chi sopra di loro, in Italia ed in Europa, ha preso le decisioni che ci hanno portato a questo disastro.

Giorgio Cremaschi

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