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18/07/2013

Arpat: “La diossina c’è ma non quella tossica”. I professionisti della disinformazione al servizio degli avvelenatori

1) L’ARPAT e la sindrome Nimby

Se si ritenesse l’ARPAT (agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) solo un organismo tecnico gli si farebbe un grave torto. La vera missione che essa stessa si pone è infatti di carattere prettamente politico: quella di lavorare all’azzeramento della conflittualità ambientale sul territorio.

Basta dare un’occhiata al sito per capire che la nostra non è una semplice battuta polemica. Un ampio spazio è infatti dedicato ai materiali del “Nimby forum”, un progetto patrocinato dai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico con la partecipazione dei soliti falsi-verdi piddini della Legambiente e gestito da un’associazione di Milano che si chiama Aris (Agenzia di Ricerche, Informazione e Società).

L’Aris ha lo scopo di organizzare eventi che favoriscano la cultura della “modernizzazione”, in poche parole la realizzazione di grandi opere a forte impatto ambientale, superando l’opposizione dei cittadini. Com’è noto Nimby è una sigla che significa Not in my backyard (Non nel mio cortile), ed ha un carattere fortemente dispregiativo: le lotte ambientaliste sarebbero frutto di una cittadinanza poco colta, poco informata e incline a piccoli egoismi locali. Si parla infatti di sindrome Nimby a sottolineare l’aspetto patologico di questa opposizione. Il progetto “Nimby forum” ha lo scopo di monitorare e censire queste lotte per definire strategie comunicative in grado di appianarle. Da notare che tutte le lotte registratesi in Italia vengono qui automaticamente classificate come Nimby e inserite nel database, nessuna esclusa. Al Convegno 2012 del forum hanno partecipato personaggi del calibro di Corrado Clini (ex Ministro dell’Ambiente) Chicco Testa per l’Assoelettrica, Adolfo Spaziani della Federutility ed Ermete Realacci di Legambiente. Tra i sostenitori compaiono l’Enel e altre organizzazioni imprenditoriali, a partire naturalmente da quelle che, costruendo gli impianti più problematici, hanno il maggiore interesse a superare ogni opposizione.

In Italia, si legge in uno degli articoli reperibili sul sito dell’ARPAT, ”emerge un’opinione pubblica contraria a qualsiasi installazione ed impianto, a prescindere dalle valutazioni di rischio e di impatto ambientale. (...) Secondo alcuni studi è soprattutto la carenza di informazione ai cittadini la causa principale delle opposizioni ad un progetto: se i rapporti con questi ultimi fossero impostati in maniera più aperta, probabilmente molte contestazioni verrebbero mitigate. In questa prospettiva diventa essenziale il ruolo dei soggetti terzi che garantiscano le informazioni, la disponibilità dei dati, i monitoraggi e i controlli: questo è il ruolo della moderna Pubblica Amministrazione, e quindi anche di ARPAT”.

L’ARPAT, qui tramite una delle sue addette stampa, rivendica quindi in maniera del tutto esplicita un ruolo assolutamente politico, cioè quello di appianare le vertenze ambientali. Ne prendiamo atto. Forse sarebbe opportuno però che questa pregevole missione venisse svolta con i soldi delle imprese di cui sopra e non con quelli dei cittadini. A voler essere pignoli ricordiamo pure che l’ARPAT dipende dalla Regione ed è la Regione che stabilisce dove devono essere collocati gli impianti di trattamento dei rifiuti e altre attività produttive potenzialmente nocive. Ma non guardiamo il pelo nell’uovo.

2) ARPAT, Tirreno, Nazione e la diossina della Galletti

8 luglio 2013, Livorno. Un incendio distrugge un’ingente quantità di materiali stoccati nel piazzale della ditta Galletti, in Via dell’Ecologia, tra Pian di Rota e Stagno. Una delle tante ditte che trattano rifiuti in convenzione con l’AAMPS e che periodicamente prendono fuoco. La Lonzi Metalli di Via del Limone “vanta” sette incendi in undici anni. Come quello del 2009, nella notte in cui Livorno festeggiava la vittoria nei playoff e il ritorno in serie A, in cui presero fuoco 5.000 tonnellate di rifiuti. Per l’ARPAT in quel caso la diossina sarebbe rimasta nei mitici “limiti di legge” e fu rilevato solo un eccessivo stoccaggio di materiali a causa del quale svolazzavano buste e cartacce.

La nube nera che dalla Galletti si allarga a tutta la zona nord della città, le testimonianze e il materiale fotografico e video disponibile in rete non lasciano dubbi: tra i materiali bruciati c’è della plastica. In queste condizioni è quasi impossibile che non si sia prodotta diossina.

E infatti dai risultati delle analisi, effettuate dall’ARPAT abbastanza celermente e rese note una settimana dopo l’incendio, risulta la presenza della temutissima diossina. Qualcuno probabilmente si sarà posto il problema di come comunicarlo alla popolazione senza fomentare la sindrome Nimby.

L’ARPAT, nel suo comunicato, informa che “i valori di tossicità equivalente fatti registrare risultano dello stesso ordine dei valori di fondo delle aree urbane lontane da potenziali sorgenti di emissione del Nord America”. In poche parole, l’incendio non avrebbe prodotto alcun “surplus” di diossina e quella che c’è si troverebbe lì per caso.

A partire da questo ambiguo comunicato si scatenano i professionisti della disinformazione e dobbiamo dire che anche stavolta fanno davvero un ottimo lavoro. Dal sito de Il Tirreno: “Trovate diossine, non tossiche”. Da La Nazione: “Scongiurato il pericolo diossina”. Titoli talmente assurdi che perfino l’ARPAT si sente in dovere di precisare. In realtà, scrive, “le analisi non rilevano la formazione di Tetra Cloro Dibenzo para Diossina (TCDD), ovvero la più pericolosa tra le 210 molecole appartenenti alla classe chimica denominata diossine, di cui 17 aventi tossicità apprezzabile”. E le altre 16?

Giri di parole e titoli scritti ad arte per nascondere la realtà, cioè che per il profitto di pochi siamo in presenza di un avvelenamento di massa i cui effetti poi si ritrovano puntualmente nei dati sanitari della popolazione livornese e in particolare in quella dei quartieri nord. La stampa locale la conosciamo, ma i funzionari pubblici non dovrebbero avere come unico scopo quello di tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini?

Per Senzasoste Ciro Bilardi, 16.7.2013

Nella foto l'incendio alla ditta Galletti di Via dell'Ecologia

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