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30/06/2013

Il "decreto del fare" a pezzi ambiente e lavoro

Dà un po’ l’impressione di un dejà vu questo “Decreto del fare” (DL 69/2013), l’ennesimo cavallo di Troia  che porta in pancia l’ennesimo tentativo di revisione delle norme in materia di sicurezza del lavoro. Come in un remake di un pessimo film ci troviamo davanti un testo quasi identico a quello già cassato ai tempi del così detto “Decreto semplificazioni bis”, che il  governo  Monti aveva già provato a propinarci lo scorso autunno (ai tempi il tentativo fu fermato dalla campagna promossa dal Rls Marco Bazzoni).

Oggi come allora la controriforma si nasconde all’interno di in un decreto omnibus, ammantato dalla retorica della salvezza della patria dal baratro della crisi (chi vi si oppone è, ovviamente, un traditore del sacro suolo). Oggi come allora viene  promossa da un governo a sostegno bipartisan, come a ribadire la sudditanza che lega gran parte dell’arco politico a Confindustria. Come dicevo, il testo – nella parte che riguarda la sicurezza del lavoro – è quasi uguale a quello  del settembre 2012. Del resto Confindustria l’ha scritto e non l’ha mai cambiato.
Mi spiace ripetermi, ma visto che si parla degli stessi  provvedimenti ribadisco gran parte della sintesi che ne feci allora:

  • Riduzione (ops… volevo dire “semplificazione”) dell’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria per i lavoratori che prestano la loro opera in azienda per meno di 51 giorni lavorativi nell’anno solare. Come se la pericolosità di un lavoro diventasse automaticamente minore per i lavoratori precari, e non fosse invece il contrario !!!  Non solo il buon senso, ma anche le statistiche (vedi qui e qui) dimostrano che i continui cambi di mestiere e luogo di lavoro non permettono mai di maturare sufficiente esperienza nella mansione, aumentando la probabilità di infortunio. Quanto alla sorveglianza sanitaria, essa andrebbe approfondita, e non “semplificata”, vista l’esposizione del lavoratore precario a rischi sanitari sempre mutevoli.
  • Possibilità di sostituire il documento di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI) negli appalti con la nomina di un preposto. E’ un modo per scaricare le responsabilità sul povero culo di un dipendente, mentre la redazione del DUVRI responsabilizza i datori di lavoro.
  • Esenzione dall’obbligo del DUVRI per gli appalti non superiori ai dieci uomini-giorno (in precedenza il decreto 81/08 concedeva una franchigia per max due giorni), perché evidentemente i rischi iniziano dall’undicesimo.
  • Identificazione di settori di attività a basso rischio, a cui verrebbe estesa la possibilità di autocertificare la valutazione dei rischi. Così la sicurezza si risolve nella firma di un foglietto.
  • “Modelli semplificati” per la redazione dei  piani di sicurezza nei cantieri (ovvero la loro definitiva trasformazione in fuffa  standard prestampata).
  • Abrogazione del comma che prevede la possibilità dell’organo di vigilanza di richiedere informazioni e prescrivere modifiche entro 30 giorni dalla notifica relativa alla costruzione e realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali.
  • Conferma sostanziale del processo di privatizzazione delle verifiche sugli impianti.
  • Le inchieste sugli infortuni gravi o mortali non più condotte d’ufficio dalla Direzione territoriale del lavoro, ma solo su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell’INAIL. Mettiamo caso che crepi uno senza parenti, o si tratti di un lavoratore immigrato con i parenti lontani. L’infortunato è morto, superstiti non ce ne sono, l’Inail se ne frega tanto non c’è più nessuno da risarcire… e si può allegramente fare a meno dell’inchiesta! Tra l’altro si prevede che agli adempimenti (cioè all’indagine della Direzione territoriale del lavoro) si provveda “con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori  oneri a carico della finanza pubblica”.  Il che, in tempi di tagli selvaggi al pubblico impiego e alle dotazioni dei pubblici uffici, assesta un altro colpo alla possibilità di accertamento delle responsabilità degli infortuni. Si subordina, in pratica, il diritto ad avere giustizia ai vincoli della spending review.
Come unica differenza rispetto all’ipotesi di Monti & Fornero, non si prevede più la possibilità di autocertificare l’avvenuta valutazione dei rischi per le aziende fino a 50 dipendenti. Ma non temete. Prima o poi torneranno alla carica!

In compenso ci sono delle altre chicche in materia di antincendio e di normativa ambientale, e di regolarità contributiva.

Si mette mano al DPR 151/11 laddove prevede che le attività a rischio di incendio medio e alto richiedano al Comando dei  Vigili del fuoco l’esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni, o le modifiche di quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio. Il “Decreto del fare” le esenta da questo onere “qualora già in possesso di titoli abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità”. In pratica dopo aver  ottenuto un primo titolo abilitativo si possono mutare completamente le condizioni di sicurezza senza rendere conto a nessuno (per intenderci, stiamo parlando di attività che vanno dalla produzione di gas infiammabili alle scuole, dai distributori di carburante fino agli alberghi e agli ospedali).

A livello ambientale, viene completamente riscritto l’art.243 del D.Lgs. 152/96 sulle acque di falda contaminate. La nuova stesura  suona così:  “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di contenimento della diffusione della contaminazione ….”.  In pratica ne discende che: se la contaminazione delle falde non genera direttamente un rischio sanitario (magari per la lontananza di insediamenti e attività antropiche), ma si limita all’inquinamento ambientale, ce ne freghiamo. Ma comunque, anche in presenza di un rischio per gli umani, l’eliminazione della fonte della contaminazione (e il conseguente diritto costituzionale alla salute) viene subordinata alle compatibilità economiche.

Infine, veniamo al DURC, il documento di regolarità contributiva necessario per  accedere agli appalti pubblici e riceverne i pagamenti.  Già così com’è, esso non attesta che un’azienda paga i contributi e non tiene lavoratori in nero, ma che non è mai stata beccata dagli uffici ispettivi di Inps, Inail, o DPL. Vi assicuro che fra le due cose c’è una certa differenza (conoscendo l’aleatorietà dei controlli in materia). Il “Decreto del fare” allunga la validità del DURC a 180 giorni, per cui se un appaltatore viene beccato dagli uffici ispettivi il committente pubblico potrà accorgersene anche sei mesi dopo. Nel caso poi questo succeda, la ditta non verrà più esclusa dall’appalto per il venir meno dei requisiti, ma gli verrà decurtato dal pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza. In pratica assumere in nero o evadere Inps, Inail e Cassa Edile non gli comporta più nessuna sanzione credibile all’interno dell’appalto.

Mi fermo qui, anche se probabilmente un’analisi più approfondita potrebbe riservare altre sorprese nel testo di stò decreto che verrà confermato a fine agosto. A meno che una forte reazione non glielo ricacci di nuovo indietro.

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