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17/06/2013

Gli USA a caccia di Snowden

di Mario Lombardo

Per la prima volta dalla rivelazione del colossale programma di sorveglianza elettronica messo in atto segretamente dagli Stati Uniti, un organo ufficiale del governo cinese ha discusso in maniera pubblica la vicenda messa in moto dall’ex contractor della CIA e dell’NSA, Edward Snowden. Ad affrontare il caso è stato il quotidiano in lingua inglese, China Daily, il quale ha opportunamente evidenziato il doppio standard di Washington nell’affrontare le questioni della cyber-sicurezza, rispedendo in sostanza al mittente l’escalation di accuse formulate contro Pechino nelle ultime settimane dall’amministrazione Obama.

Per la testata, controllata dal governo cinese, la notizia dell’esistenza dei programmi segreti PRISM e, soprattutto, Boundless Informant, grazie al quale gli USA intercettano le comunicazioni elettroniche che avvengono in paesi stranieri, rappresenta una macchia all’immagine internazionale degli Stati Uniti, nonché una minaccia alle relazioni tra le prime due economie del pianeta.

La prima critica, in particolare, va direttamente al cuore del principale motivo di scontro tra Washington e Pechino, cioè le accuse rivolte a quest’ultimo governo di essere dietro attività di hackeraggio ai danni di agenzie governative e compagnie private americane. Come di consueto, anche in questo caso è apparso dunque chiaro come gli Stati Uniti siano responsabili di attività discutibili o palesemente illegali che, tuttavia, essi attribuiscono ai loro rivali internazionali.

Che gli USA siano i maggiori utilizzatori di armi tecnologiche per promuovere i propri interessi era sensazione comune ma le rivelazioni degli ultimi giorni hanno contribuito a confermarlo con prove concrete. Lo stesso Snowden lo ha affermato apertamente in un’intervista rilasciata mercoledì al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post.

Il 29enne analista informatico ha infatti affermato che gli USA monitorano le comunicazioni elettroniche cinesi almeno dal 2009 e gli obiettivi comprendono membri del governo, università e aziende. Una delle ragioni che hanno spinto Snowden a rivelare i programmi dell’NSA è stato proprio il desiderio di dimostrare “l’ipocrisia del governo americano quando sostiene di non prendere di mira [nelle operazioni informatiche segrete] infrastrutture civili, come farebbero invece i suoi avversari”.

Oltre alla stessa scelta di riparare in territorio cinese per sfuggire alle ritorsioni del proprio governo, queste dichiarazioni di Snowden suggeriscono forse un qualche ruolo giocato dalle autorità di Pechino nelle rivelazioni dei programmi dell’NSA al Guardian e al Washington Post, tanto più che esse sono giunte praticamente in concomitanza con un vertice bilaterale in California tra i presidenti Obama e Xi Jinping, dove la cyber-guerra tra i due paesi avrebbe avuto un posto di rilievo.

In ogni caso, l’esposizione delle attività di intercettazione condotte dagli USA in paesi sovrani, in contravvenzione di ogni regola del diritto internazionale, potrebbe in qualche modo rimescolare le carte della rivalità in atto con la Cina, intensificata dopo la cosiddetta “svolta” asiatica decisa dall’amministrazione Obama fin dal 2009 per contenere l’espansionismo di Pechino.

La gravità delle rivelazioni sia sul fronte domestico che internazionale sono comunque risultate chiare dall’aggressiva campagna messa in atto dalla classe dirigente americana e da buona parte dei media “mainstream” per incriminare lo stesso Snowden, così come per minimizzare la pervasività dei programmi di intelligence o esaltarne la presunta efficacia nel prevenire possibili attentati terroristici.

Evitando accuratamente di prendere in considerazione il contenuto delle rivelazioni e la violazione dei diritti costituzionali dei programmi segreti, molti politici americani hanno così chiesto punizioni esemplari per Edward Snowden. Tra i più feroci accusatori di quest’ultimo c’è la presidente della commissione per i servizi segreti del Senato, la democratica Dianne Feinstein, come i suoi colleghi da tempo a conoscenza delle attività illegali condotte dietro le spalle degli americani dal proprio governo, la quale ha senza mezzi termini definito Snowden un “traditore” per avere reso noto informazioni riservate.

L’auspicio nemmeno troppo segreto della classe politica d’oltreoceano è però addirittura quello di criminalizzare la stessa attività giornalistica, come ha confermato questa settimana il deputato repubblicano Peter King, in un’intervista alla CNN dove si è detto favorevole all’apertura di un’indagine giudiziaria anche ai danni del giornalista del Guardian, Glenn Greenwald, che ha pubblicato le recenti rivelazioni.

Secondo la logica di King, d’altra parte, sarebbero queste fughe di notizie che rivelano la totale illegalità con cui opera il governo di Washington a “mettere a rischio vite americane e a danneggiare il paese”.

Se accuse formali contro Greenwald sono tutt’altro che improbabili - come dimostra il complotto messo in atto per incriminare Julian Assange di WikiLeaks - la persecuzione di Snowden è invece scontata, dal momento che il Dipartimento di Giustizia ha già avviato un’indagine che porterà alla richiesta di estradizione dell’ex contractor americano.

La campagna di discredito contro Snowden e l’ennesimo dibattito-farsa in corso sui principali giornali USA circa la migliore definizione da attribuirgli - “eroe” o “traditore” - serve anche ad evitare l’emergere di qualsiasi ipotesi di incriminazione per coloro che all’interno del governo hanno deciso l’implementazione di programmi anti-costituzioni, compreso il presidente Obama, contro il quale le prove di un possibile impeachment vanno ormai ben al di là di quelle su cui si basò, ad esempio, lo scandalo che costrinse alle dimissioni Richard Nixon nel 1974.

Nessuna richiesta di rendere conto nemmeno delle dichiarazioni fuorvianti rilasciate ripetutamente dai vertici dell’intelligence ai rappresentanti del popolo sembra arrivare poi dai giornali americani. Clamorose sono state in particolare le menzogne del direttore dell’Intelligence Nazionale, nonché supervisore dell’NSA, James Clapper, il quale durante un’audizione al Congresso nel mese di marzo aveva assicurato i suoi intervistatori che l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale non raccoglie “intenzionalmente” informazioni sui cittadini americani.

Il direttore dell’NSA, generale Keith Alexander, a sua volta nei mesi scorsi aveva più volte smentito che la sua agenzia è impegnata in attività di intercettazione delle comunicazioni elettroniche degli americani. Lo stesso Alexander è apparso mercoledì di fronte ad una commissione del Senato per difendere la gigantesca violazione dei diritti costituzionali da parte dell’NSA ma i senatori presenti hanno diligentemente evitato di chiedere spiegazioni sulle sue precedenti false dichiarazioni.

Il ricorso sistematico alla menzogna e all’inganno da parte della classe dirigente americana per limitare i danni seguiti alle rivelazioni di Guardian e Washington Post è chiaramente motivato dalla necessità di provare a giustificare ciò che un sistema democratico dovrebbe considerare inammissibile, senza alcuna eccezione.

Pervasi da un senso di panico per il progressivo venir meno della credibilità del sistema politico americano agli occhi della popolazione, i detentori del potere negli USA sono costretti a ricorre a intimidazioni, minacce e menzogne senza fine, che non fanno altro però che dimostrare ulteriormente il loro totale disinteresse per il rispetto dei diritti democratici.

Ancora menzogne, perciò, hanno caratterizzato la difesa dei programmi PRISM e Boundless Informant da parte, tra gli altri, di James Clapper e Dianne Feinstein. Entrambi in questi giorni hanno fatto riferimento agli arresti dei terroristi Najibullah Zazi e David Hadley, il primo con l’accusa di avere progettato un attentato sventato nella metropolitana di New York nel 2009 e il secondo per avere preso parte alla pianificazione degli attacchi a Mumbai, in India, nel 2008.

Secondo la versione ufficiale, Zazi e Hadley sarebbero stati individuati e assicurati alla giustizia proprio grazie ai programmi segreti di intercettazione dell’NSA. Una serie di indagini giornalistiche - condotte principalmente dal Guardian e dalla testata americana indipendente ProPublica - dimostrano al contrario come la cattura di entrambi sia stata dovuta ad attività tradizionali di intelligence e alla collaborazione tra agenzie USA e britanniche, mentre i programmi di sorveglianza dell’NSA non hanno avuto alcun ruolo.

Hadley, oltretutto, ben prima dei fatti di Mumbai era stato un informatore della DEA americana (Drug Enforcement Administration) e, con ogni probabilità anche di CIA e FBI, e le autorità statunitensi erano state più volte allertate dai familiari circa i suoi contatti con gli ambienti integralisti pakistani.

La menzogna più eclatante e dalle implicazioni più inquietanti utilizzata dal governo americano è però quella che riguarda le fondamenta stesse della costruzione di un apparato della sicurezza nazionale da stato di polizia, vale a dire la necessità di combattere con ogni mezzo la “guerra al terrore” su scala planetaria.

Un documento interno della NSA del 2000, declassificato qualche anno fa, aveva infatti dimostrato come la preparazione delle misure messe in atto dopo l’11 settembre 2001 fosse già iniziata ben prima dell’evento che avrebbe portato a guerre rovinose e all’assalto ai diritti democratici negli Stati Uniti.

Nel cosiddetto memorandum “Transition 2001” si affermava cioè che, se anche “il Quarto Emendamento [che protegge da perquisizioni e confische senza un valido motivo] è applicabile ai sistemi di intelligence elettronica di ieri e di oggi, l’Era dell’Informazione ci spingerà a ripensare e ad applicare diversamente procedure e politiche nate in un diverso ambiente di sorveglianza”.

“L’NSA”, proseguiva il documento, “continuerà a svolgere le proprie missioni rispettando il Quarto Emendamento e tutte le leggi applicabili, tuttavia… è necessario comprendere che le missioni di domani richiederanno una robusta e continua presenza nelle reti di telecomunicazione globali che ospitano le comunicazioni protette degli americani e dei nostri avversari”.

L’avanzamento di questi programmi di sorveglianza a meno di un anno dagli attacchi al World Trade Center, infine, veniva giudicato eccessivamente lento, a meno che non avesse avuto luogo “un evento catastrofico, come una nuova Pearl Harbor”.

Le previsioni vecchie di oltre un decennio dell’NSA sembrano dunque essersi concretizzate, confermando come il progetto di sorvegliare sistematicamente il comportamento di virtualmente tutti gli americani e degli avversari degli USA sullo scacchiere internazionale sia in gran parte svincolato dall’anti-terrorismo e dalle ragioni della sicurezza nazionale.

Il riferimento fatto dal memorandum “Transition 2001” a possibili quanto ingiustificabili deroghe alle garanzie fissate nel Quarto Emendamento, poi, ricalca sorprendentemente le dichiarazioni del presidente Obama e di altri politici di Washington in questi giorni, tutte volte a difendere un sistema sempre più repressivo ormai del tutto al di fuori di un quadro autenticamente democratico.

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